lunedì 31 marzo 2014

TAMAR, LA RESILIENTE

C’è una storia nella lunga narrazione del libro della Genesi che rischia di rimanere un po’ in ombra, se non addirittura di essere dimenticata. Perché breve rispetto ai grandi cicli del libro (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), perché racconta la storia «immorale» di una donna, nessuna impresa eroica o di santità mistica.

Mi è capitato diverse volte di leggere in gruppi biblici cattolici questa storia e di trovarla del tutto sconosciuta perché non è inserita nei cicli ordinari di lettura liturgica.

Eppure è una storia straordinaria in ordine al tema che stiamo affrontando in questi mesi in questa pagina del nostro giornale: la fede resiliente, la fede capace di affrontare il male con sagacia, senza contrapposizione frontale, venendone feriti, ma facendo scaturire dal suo sangue una vittoria.

È la storia di Tamar, raccontata nel capitolo 38 di Genesi. Una storia di inganno e di furbizia, di «aggiramento» della prepotenza. La storia inizia con il patriarca di una famiglia, Giuda, che sceglie la moglie per il figlio primogenito. La cosa sembra normale. Eppure è sorprendente: nella Genesi, in cui le storie di famiglia sono numerose, nessun padre sceglie egli stesso la sposa per il figlio.

Come accade spesso, l’esordio segna lo sviluppo della vicenda che, in questo caso, ruota intorno al dominio di un padre nella vita dei figli, un padre che cerca di imporre le proprie decisioni agli altri. Tutto succede come se egli tentasse di tenere la famiglia sotto controllo. Vuole forse evitare la sventura di suo padre, il patriarca Giacobbe, per non aver rispettato il diritto della primogenitura?

Le parole di Giuda sono sempre degli ordini, come se egli avesse il diritto di disporre degli altri. Nonostante i suoi sforzi, però, malgrado la sua autorità, le cose sfuggono al suo potere e al suo controllo.

Non appena sposato da suo padre, il primogenito Er muore. Per assicuragli una discendenza, Giuda dispone il matrimonio del secondogenito, Onan, sempre con la stessa moglie del primo, Tamar. Ma Onan si ribella all’autorità del padre e lo inganna: gli lascia credere di stare con sua cognata, mentre invece le rifiuta il proprio seme.

Andando un poco più a fondo nella vicenda ci si accorge che certamente Giuda cerca di controllare tutto credendo di riuscirvi, ma ciò che realmente determina il suo modo di agire e le sue decisioni è senza dubbio un desiderio di vita. Spingere qualcuno a sposarsi, ad avere dei figli e vederli prendere in moglie è certamente una voglia di vivere. Voglia che muove Giuda anche a proteggere il terzo figlio allontanandolo da colei che crede responsabile della morte dei due mariti: Tamar. Il desiderio di vita si è pervertito in paura della morte.

Questo conduce Giuda a essere falso, promettendo di rispettare la legge del levirato che vuole che un fratello dia una discendenza al fratello morto fecondando la vedova (Dt 25, 5-6), ma senza farne seguire un impegno vero. In questo modo la nuora è condannata alla morte sociale e affettiva.

Tamar, invece di rimanere sepolta viva, di rimanere nell’oblio, si ingegna in una maniera molto eterodossa: si vela da prostituta. Sente che suo suocero è rimasto vedovo, ha fatto la pezzatura del bestiame, ed è euforico; lei si mette alla porta della città ad attendere quest’uomo che ha finito il lavoro. È la stagione della primavera quando la vita rifiorisce, mentre la vita di Tamar, che è una sepolta viva, è bloccata. Quando Giuda vede questa prostituta, vuole andare con lei, ma non ha i soldi e allora offre dei segni come pegno fino al suo ritorno: lei prende il sigillo, i cordoni e il bastone, e si unisce con il suocero. A questo punto Tamar la prostituta scompare dalla scena. Giuda torna alla sua vita, e manda un servo per pagare la donna perché è un uomo d’onore, ma alla porta della città nessuno ha mai visto una prostituta, non c’è mai stata una prostituta. Dopo tre mesi Giuda riceve la notizia che la nuora, che lui aveva dimenticato, che aveva sepolta viva, è incinta. Allora Giuda diventa giudice e vuole lapidare questa infedele. Ecco lo svelamento dell’inganno: Tamar manda a dire a Giuda che il padrone degli oggetti che lei possiede è il padre del bambino. Giuda capisce che lei è stata più giusta di lui. Questo è allora il suo commento: «Lasciatela andare perché lei è più giusta di me». Tamar avrà due figli.

Giuda e noi tutti riceviamo una lezione di vita da Tamar: non si salva la propria vita proteggendola accanitamente dalla morte, questo è il modo più sicuro per perderla. Occorre rischiare con audacia. Tamar è colei che disubbidisce al potere della paura e permette il trionfo della vita e della verità.

La creatività di Tamar riapre un futuro dove la prepotenza maschile l’aveva chiuso, senza cedere alla rassegnazione e anzi compiendo una trasgressione: accoppiarsi con il suocero.

Per noi lettori della Scrittura è una grande lezione che prepara anche al seguito. Proseguendo, infatti, il racconto, incontreremo Giuseppe vittima di un’altra ingiustizia. Anch’egli, lungi dal cercare vendetta e dal contrapporsi con violenza alle vessazioni subite, con grande abilità strategica condurrà passo passo coloro che gli hanno fatto violenza a riconoscere da soli il male compiuto e a rifiutarlo come condotta di vita.

(Gabriele Arosio, Riforma 28 marzo)

 

 

 

NEL TUO SERVIZIO FA' CHE CAMMINIAMO


Te celebriamo, o Padre, con fervore,

cantiamo a te con cuor riconoscente

ed esaltiamo il braccio tuo potente.

Lode al Signore!

 

Sii nostra guida, vigile e sicura,

nel tuo sentiero, nostro Buon Pastore,

che di noi tutti sempre avesti cura.

Lode al Signore!

 

Nel tuo servizio fa' che camminiamo:

sia al tuo volere sottomesso il cuore;

nel tuo timore fa' che noi viviamo.

Lode al Signore!

 

Nell'insanabil nostra debolezza

la tua potenza compi tu, Signore,

finché il tuo regno venga con pienezza.

Lode al Signore!

(Innario cristiano n.168, protestante)

CONVEGNO REFO


Nei giorni 8 e 9 marzo a Roma si è svolto il convegno della Rete Evangelica Fede e Omosessualità. Alcune relazioni hanno esplorato il campo dei diritti e delle nuove famiglie.

Le altre due relazioni riguardavano l'aspetto più ecclesiastico della questione, ossia le benedizioni delle coppie dello stesso sesso. Ne hanno parlato il pastore Luca M. Negro, che ha esaminato in particolare la situazione in Italia inserendola in un quadro europeo, e il pastore luterano Christophe Kocher di Strasburgo in relazione alla Francia. Quanto all'Italia, Negro ha sottolineato come la benedizione sia la cartina di tornasole del livello di effettiva accoglienza di una chiesa nei confronti delle persone omosessuali: si tratta cioè di non essere solo welcoming (accoglienti), ma anche affirming, cioè sostenitori dei progetti di vita in comune delle coppie dello stesso sesso. Il convegno si è concluso con la partecipazione al culto della comunità metodista, con la predicazione del pastore Eric Noffke.

Tante parole, ma con ragione il pastore Luca Negro ha sottolineato che poi sono le benedizioni delle coppie omosessuali la vera cartina di tornasole dell'accoglienza di una chiesa nei confronti delle persone omosessuali.

Sono i fatti più che le "dichiarazioni" che contano.

Franco Barbero

INCUBO OSTEOPOROSI MEZZO MILIONE DI DONNE A RISCHIO


Osteoporosi, un incubo per l'80 percento delle donne over 64 in Piemonte. Lo accerta una ricerca della Fondazione che si occupa di questa malattia, in collaborazione con la Città della Salute: sono almeno mezzo milione le persone alle prese con questo problema. Che, dicono i ricercatori, ha anche costi altissimi per il Servizio sanitario: con una corretta prevenzione si riuscirebbe a risparmiare 400 euro a paziente.

UNO SCANDALO, NESSUN CONTROLLO

Avastin e Lucentis, Novartis e Roche: “nomi” ignorati dalla maggioranza degli italiani fino a qualche giorno fa, sono diventati ora tanto importanti da richiedere l’intervento del governo. Che venerdì ha avviato un decreto sull’utilizzo off-label (fuori dalle indicazioni terapeutiche ufficiali) di un medicinale: se è già usato così in altre nazioni, l’Aifa - Agenzia del farmaco - può sperimentarlo, con soldi pubblici. A parte questa singolarità (1’azienda non dovrebbe investire di tasca propria?), il decreto non scioglie gli altri nodi dello scandalo: la trasparenza e i controlli. Perché se aziende come Roche e Novartis hanno siglato un patto segreto per vendere il medicinale più costoso (facendo spendere centinaia di milioni al Ssn), qualcuno lo ha permesso, avallando un'ampia disinformazione tra i media. L’Antitrust ha sanzionato le aziende, che adesso sono anche indagate con pesanti accuse da due Procure. Ma si dovrà chiarire se c’è stata incompetenza, disattenzione, connivenza dei “controllori". Da anni associazioni e società scientifiche puntano l’indice contro gli attuali vertici dell’Aifa. I “vigilantes” hanno assolto in pieno il loro compito?
g.pepe@repubblica.

(Repubblica 18 marzo)

domenica 30 marzo 2014

IL PAPA AI VESCOVI E AI PRETI


Mercoledì 26 il papa ci ha ricordato che far preservare a lungo nella passione del ministero è soprattutto importante "ascoltare la Parola di Dio e pregare".

Si, non possiamo annunciare una parola che prima non sia stata accolta nei nostri cuori.

Pastori, non funzionari.

È la Parola di Dio che rende le persone libere, autonome, responsabili davanti a Dio. Così lentamente il ministero pastorale ha lo scopo di camminare accanto alle persone finché esse diventino "obbedienti" solo a Dio.

Franco Barbero

APRIRSI ALLA SPERANZA

È proprio tempo di pensare alla speranza come tema per portare il futuro. Portare un futuro  che è chiuso. La chiave di lettura che voglio dare al mio intervento è quella di far vedere  come nella Scrittura la speranza non è quel sentimento onirico che in maniera fatalistica si  attiva, ma è una passione per domani, una passione che è radicata in scelte strategiche, in una  vigilanza, in una resistenza che a volte porta persino a comportamenti eterodossi. Pensate a  quando noi preghiamo “sia fatta la tua volontà” nel Padre nostro abbiamo l'idea che  dobbiamo affidarci a Dio anche quando ci arrivano le tegole, poi da questo deriva un  atteggiamento un po' fatalista che quando ci capitano le brutte cose della vita diciamo: “è la  volontà di Dio”. Chi ci ha fatto credere questo non ha presente il testo biblico perché secondo  il testo biblico è Dio che ci invita a fare la sua volontà che è prima di tutto di camminare eretti,  pieni di dignità verso il futuro, per cui il primo atteggiamento per aprirsi alla speranza è quello di recuperare una fiducia verso il domani, una fiducia “verso”, “oltre”. (...). Il dato della sterilità non è più semplicemente un dato biologico, ma è un modo attraverso cui la Bibbia dice la teologia della storia. La storia non è in astratto, prima di tutto la storia è al plurale, la storia è “toledot”, è le “generazioni”; la storia non è un concetto, la storia è partorita, la storia biblica è molto concreta, ha a che fare con i ventri gravidi che si schiudono e che permettono alla vita di fluire. La storia non è mai tranquilla, non è mai scontata: nella tradizione biblica infatti molti personaggi attraversano una sterilità che ha bisogno di essere sciolta attraverso l'intervento divino e quando Dio è latitante, attraverso la strategia di chi si ingegna per forzare la storia. (...).  Sono racconti che mettono a fuoco anche questo aspetto: che a volte alla speranza bisogna attaccarsi con strategie che forzino la realtà che sembra impossibilitata ad aprirsi alla speranza.

(Lidia Maggi, Personaggi biblici della speranza, intervento presso la Comunità di San Fermo - Bergamo, 14 novembre 2012)

 

BERNARD CLAIRVAUX


"Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà."

PROVERBIO DEL CONGO


Gli elefanti si fanno la guerra, ed è l'erba a rimanere schiacciata.

BERNHARD HAERING


"Utilizza il tuo tempo e la tua fantasia per richiamare di continuo alla mente qualcuno dei tanti motivi che hai di gioire e di mostrare agli altri un volto lieto."

MA NON ERA MAI SPARITA

L’eroina è di nuovo nelle grandi città, si diffonde tra i ragazzi. Almeno 36mila studenti l’hanno provata, 16mila l’hanno consumata dieci volte nell’ultimo mese. Non usano più l’ago, la fumano. Il suo effetto sedativo ha sostituito altre sostanze eccitanti.
Ed è allarme. Perché i numeri dei nuovi consumatori sono destinati a crescere.

Ma la notizia è un po’ montata. L’eroina non è mai sparita. Ora, certo, dopo l’estendersi del mercato di ogni genere, torna la “grande signora” con la quale si vorrebbe coprire il grande vuoto, per attutire il down da altre sostanze e così col tempo non si riesce più a farne a meno.

Correre fa bene al cervello

L’esercizio fa bene al fisico, ma anche al cervello. Si è visto infatti che l’attività fisica non solo migliora l’umore e abbassa i livelli di ansia, ma addirittura favorisce la produzione di nuovi neuroni. Se si pensa che fino a non molto tempo fa si riteneva che il patrimonio di neuroni del cervello adulto fosse essenzialmente quello che avevamo alla nascita, si può capire ,che stiamo vivendo una vera rivoluzione. Negli ultimi15 anni si è dimostrato infatti che nel cervello dei mammiferi adulti si riscontra una costante produzione di nuove cellule nervose. E che l’esercizio fisico favorisce proprio questa produzione. Ora, una nuova ricerca italiana fa un ulteriore passo in avanti nella scoperta delle incredibili capacità del movimento dimostrando che la corsa è in grado di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali, migliorando la nostra memoria.
La ricerca, pubblicata sulla rivista «Stem Cells» da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) in collaborazione con l’università La Sapienza di Roma, è stata condotta su topi che presentavano difetti neuronali e comportamentali dovuti alla mancanza di un gene chiamato Btgl. In generale, le cellule staminali neuronali hanno una potenzialità di generare neuroni limitata, ma nei topi che non hanno il gene Btgl questa potenzialità si esaurisce prima, le cellule si invecchiano precocemente, non si replicano più e muoiono. Ma correre cambia radicalmente le cose: la neurogenesi, ovvero la capacità di generate nuovi neuroni, «riparte quando, in assenza di questo gene, si compie un’attività fisica che non solo inverte totalmente il processo di perdita di staminali ma scatena un’iper-proliferazione cellulare con un effetto duraturo», spiega Stefano Farioli-Vecchioli dell’Ibcn-Cnr, coordinatore dello studio. In sostanza, quando il topino corre, non solo le staminali smettono di morire precocemente, ma riprendono alacremente a dar vita a nuovi neuroni.
Questa scoperta scardina un dogma della neurobiologia: «Finora - prosegue Farioli-Vecchioli - si pensava che il declino della neurogenesi nell’età adulta fosse irreversibile, abbiamo invece constatato che nel cervello adulto un esercizio fisico aerobico come la corsa blocca il processo di invecchiamento e stimola una massiccia produzione di nuove cellule staminali nervose nell’ippocampo, aumentando le prestazioni mnemoniche». Perché questo avvenga non è ancora chiaro e sarà oggetto di prossimi studi. Tuttavia, la scoperta sembra aprire nuovi scenari alla medicina rigenerativa del sistema nervoso centrale, ovvero quella branca della medicina che si ripropone di rigenerare cellule e tessuti del sistema nervoso centrale per ripristinarne le normali funzioni. Un settore che sarà sempre più cruciale in futuro come è emerso anche nel corso del convegno Brai.ns che si è svolto il mese scorso a Barcellona. I dati riportati dicono infatti che le malattie del cervello, nella loro totalità, sono in netto aumento a livello mondiale, anche per effetto del progressivo invecchiamento della popolazione e rappresentano, per i vari paesi, un costo sociale ed economico altissimo. Basti pensare che l’impatto economico delle malattie neurologiche è pari a 798 miliardi di euro all'anno solo in Europa.
E in Italia i dati non sono meno allarmanti: un milione e duecentomila persone sono affette da Alzheimer e altre demenze senili, secondo quanto è emerso in occasione della settimana mondiale del cervello che si è chiusa domenica 16 marzo e che aveva come tema centrale proprio «la memoria». «Oggi - ha detto Aldo Quattrone, Presidente della Società italiana di neurologia, in quella occasione - sappiamo che i disturbi della memoria rappresentano un sintomo sempre più comune che colpisce circa il 7% della popolazione generale con più di 65 anni fino a raggiungere il 30% dei soggetti con età superiore a 80 anni».
Anche per questi motivi il 2014 è stato proclamato dal parlamento dell’Unione Europea «anno europeo del cervello». Le priorità: sensibilizzare i cittadini circa l'importanza della ricerca per migliorare le condizioni dei pazienti con patologie neurologiche o psichiatriche e delle loro famiglie.  
Cristiana Pulcinelli

(L’Unità 22 marzo)

sabato 29 marzo 2014

SABATO 5 APRILE

Sabato 5 aprile alle ore 17 introduco una riflessione su " La preghiera nei due Testamenti biblici come testimonianza per la nostra preghiera  di oggi".
L'incontro si svolge nella sede della comunità cristiana di base di Via Città di Gap, 13 a Pinerolo.
Per informazioni: 3394018699.

LUNEDI' 31 MARZO: GRUPPI BIBLICI

I gruppi biblici della comunità cristiana di base di Via Città di Gap, 13 a Pinerolo si svolgono lunedì 31 marzo alle ore 16 e alle ore 21.
I gruppi biblici sono sempre aperti a chiunque voglia iniziare o proseguire la ricerca e il confronto.

LA CEI INVOCA L'OMERTA' A FAVORE DEI PRETI PEDOFILI

 La CEI (Conferenza episcopale italiana) utilizza la propria capacità decisionale autonoma, affermando che i vescovi non sarebbero obbligati a denunciare i casi di pedofilia commessi da sacerdoti; lo fa quasi in contemporanea con la condanna dei politici corrotti espressa dea Papa Francesco nel corso di una Messa dedicata ai politici italiani.
E' chiaro che si tratta di una ripicca nei confronti del pontefice, che, certamente, saprò rimettere i puntini sulle "i". La polemica coinvolge tutte le affermazioni concilianti espresse dal Santo Padre, sminuendo l'autoritarismo che la Chiesa di Ratzinger aveva auspicato e promosso. Si accende, così, la polemica sulle unioni gay e sulle unioni di fatto non sancite da un matrimonio; approdo, così, ad un breve commento, perché tale polemica si inserisce dentro un dibattito che vede interventi critici da tutte le parti, non tenendo conto della radice del problema che necessita di una visione più approfondita che parta dalla sola certezza che viene, invece, trascurata.
L'Italia è una Repubblica laica e democratica, non uno Stato teocratico; ha il dovere di agire secondo democrazia, trattando, in paritetica funzione, tutti i cittadini. Con il precedente pontificato di Benedetto XVI venne esasperata la concezione interscambiabile tra il REATO e il PECCATO, con una visione dei ruoli che si coinvolgevano a vicenda. Così il peccato di una unione di fatto o di una unione tra gay avrebbe dovuto essere intesa, dallo Stato laico e democratico, come un reato da punire con l'esclusione da taluni diritti riconosciuti alle coppie "regolari".
 Ma accadeva anche l'effetto opposto, cioè di un reato, la pedofilia, che la Chiesa, per volontà del pontefice , avrebbe voluto ridurre a peccato da trattare e assolvere nelle sacrestie, negando alle vittime la benché minima giustizia.; a ciò si aggiunge l'omertà oggi riconosciuta come diritti, dalla CEI; perché di omertà si tratta, in quanto tesa a nascondere un gravissimo reato.
Ricordiamo la lettera "Crimen sollicitationis" dell'allora cardinale Ratzinger, inviata ai vescovi americani, nella quale imponeva un omertoso silenzio nei casi di pedofilia, da trattare nell'ambito del diritto canonico; imposizione che valse a Ratzinger una imputazione da parte della Corte distrettuale di Harris County (Texas), per ostruzione alla giustizia; tale imputazione è tuttora in vigore, ma Ratzinger non può essere processato poiché è stata accolta dall'allora presidente Bush la sua formale richiesta di immunità in quanto "Capo di Stato in carica"; non sappiamo quale sarebbe oggi la condizione, dopo aver perduto, per dimissioni, la condizione di Capo di Stato in carica.
Non tutti gli atti intesi come peccato possono essere identificati da uno Stato laico come reato, e agire di conseguenza, comminando sanzioni o condanne; può capitare una coincidenza tra peccato e reato, come nella truffa e nell'evasione fiscale, che coprono entrambe le forme giuridiche, e non basta l'assoluzione da parte di un compiacente sacerdote per neutralizzare gli effetti penali, perchè la Chiesa deve riflettere le parole di Cristo "Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", così come Gesù ebbe a pronunciare una condanna terrificante contro coloro che corrompono le coscienze dei giovani: Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» Marco (9,42).
Ma forse nel Vangelo che leggono alla CEI questa pagina è andata smarrita ! Ma le parole di Gesù non si fermano alla pedofilia, ma condanna severamente anche la corruzione, quindi bene ha fatto Papa Francesco e redarguire i politici: È il primo anello di una catena di espressioni dure di giudizio: «Se la tua mano ti è motivo di scandalo.», «E se il tuo piede ti è motivo di scandalo.», «E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo.» (Mc 9,43-48). E solo un verbo fa seguito a ciò: "tagliare" e "gettare via". Perché è meglio entrare in cielo mutilati che bruciare nel fuoco inestinguibile dell'inferno con il corpo intatto. Valutiamo le "unioni di fatto", non sancite dal matrimonio, considerate peccato dalla Chiesa che non possono essere valutate dallo Stato laico e democratico, come reato, con azioni di conseguenza, escludendo i "peccatori" "NON PREGIUDICATI (!)" dai diritti che lo Stato riconosce alle coppie non in odore di peccato.
La pretesa inoltre di voler imporre ai parlamentari cattolici di esprimere un voto non di coscienza ma di obbedienza, ci riporta indietro di secoli, ai margini della lotta per le investiture, quando sorse il problema del potere temporale dei vescovi-conti, se dovevano riconoscere il primato di autorità al Papa in quanto vescovi o all'imperatore in quanto conti, manifestando, inoltre, disprezzo per la Costituzione italiana, che sollecita il voto di coscienza, senza sentirsi legati a obbedienze di partito o altro. Così oggi si ripropone il dilemma se il parlamentare cattolico deve obbedienza al Papa in quanto cattolico o alla Costituzione in quanto parlamentare. Tutto ciò è, e deve essere, argomento di un dibattito estraneo allo spirito confessionale di parte, dovendosi tutelare paritariamente tutti i cittadini, qualunque sia la religione, la razza, la fede o anche solo le temporanee esigenze. Si tratta di una polemica sterile, alla quale Papa Francesco ha ritenuto di porre fine in nome della carità cristiana, quando affermò "Chi sono io per giudicare..", ripetendo le parole di Cristo "non giudicare e non sarai giudicato".
Le difese ad oltranza da parte di taluni politici mostrano tutta la loro insipienza, perché si appellano a presunte lobby dei gay, che, se esistessero, andrebbero combattuta, così come tutte le lobby che amministrano ed esercitano il potere. Ma si tratta di politicune a giornata che ha trovato un argomento sul quale insistere, ma a caccia dei voti cattolici, perché gli stessi si guardano bene dall'affrontare il ben più grave problema delle lobby affaristiche che hanno ridotto la nazione al lastrico, con il solo scopo finale del proprio arricchimento personale. Le battaglie etiche e morali si fanno a 360°, non selezionando quelle di convenienze immediata, driblando i poteri forti che li condiziona, li sovvenziona e li corrompe.
 Il dibattito è iniziato da tempo, facilitato dai mezzi moderni, perché si tratta di problemi attuali che necessitano di chiarimenti idonei alle attese; ma si sono inseriti, abusivamente, taluni personaggi che in questo dibattito hanno voluto trovare l'occasione per esibirsi quali difensori di una morale che non prevede reati, ma peccati per il pianeta dei credenti, trasformando un dibattito interno al mondo dei fedeli, in una polemica con personalissimi interessi di esibizione politica, per cercare approvazione all'interno di un panorama che non appartiene loro, i quali non servono la Chiesa ma aspirano a servirsene.
 Rosario Amico Roxas


«Leggete il Vangelo ma attenti sul bus...»

«Vi suggerisco di avere sempre con voi un Vangelo, piccolino, e leggerlo quando avete un minuto, magari anche nel bus quando è possibile. Cioè, se non dobbiamo essere costretti a mantenere l’equilibrio, e anche a difendere le tasche…».  Papa Francesco si e rivolto così alla comunità parrocchiale di Setteville di Guidonia, alle porte di Roma. Nell’omelia della messa, il Pontefice è tornato sulla raccomandazione fatta all’Angelus di una maggiore familiarità con la Parola di Dio: «Il Vangelo - ha detto - sia sempre con noi. I martiri come santa Cecilia portavano sempre il Vangelo».
Per ascoltarlo i fedeli della parrocchia di Santa Maria dell’Orazione sono anche saliti sui tetti delle case vicine. Dalle prime ore del pomeriggio, nei dintorni della Chiesa, in tanti hanno fatto provviste di bandierine, magliette, rosari, foulard per ricevere a festa il Pontefice, che al suo arrivo li ha salutati.
«Quali sono - ha chiesto ai fedeli della frazione di Guidonia - i compiti principali del cristiano? La messa domenicale? Il digiuno? L’astinenza? No - ha affermato Francesco - il primo compito è ascoltare la Parola di Dio che fa più forte e robusta la nostra fede»…
Giuseppe Vittori

(L’Unità 17 marzo)
Non vorrei mai morire per le mie idee, perché potrebbero essere sbagliate.

Bertrand Russel

SE LA SOCIETA' TI NEGA UN RUOLO LA SBRONZA DIVENTA PALCOSCENICO

I giovani bevono. E questo lo sappiamo. Ma oggi si è diffusa una sorta di gara tra chi beve di più, con ovvia esposizione dei propri primati sui social network che fanno da incentivi e da moltiplicatori delle gare, spesso mortali, perché l'organismo non è in grado di assorbire tutto l’alcol assunto. I giovani bevono per la stessa ragione per cui molti di loro si drogano, e l'alcol e la droga più economica e la più socialmente accettata. Alla base ci sono ragioni psicologiche e ragioni culturali. Annoiati da una vita che pare a loro povera di senso, cercano in qualsiasi modo di provare emozioni che non trovano nella routine della loro esistenza quotidiana, in quel mondo chiassoso delle discoteche, dove l’alcol facilita i processi di socializzazione, disinibisce la comunicazione, facilita i contatti, abbassa le difese. In discoteca si va in ora tarda, dopo aver già ingerito una buona dose di alcol nei bar, dove ci si trova per combinare la serata. Qui comincia la gara tra chi è più spiritoso, più disinvolto, più in vista, più disinibito, più audace nelle avances. Le ragazze non meno dei maschi, per avere una giustificazione dopo un incontro sessuale casuale e non programmato: “Ero ubriaca”. In fondo il sesso oggi non è più un tabù. Separato e scisso dal sentimento, il sesso è diventato puro piacere fisico, a cui si può accedere più facilmente se la propria psiche e intorpidita e, grazie all’alcol, la coscienza non più tanto vigile. Fin qui le ragioni psicologiche. Quelle culturali, che a mio parere preoccupano di più, sono da ricercare nel fatto che i giovani oggi vivono sostanzialmente esclusi dal mondo lavorativo e sociale. E siccome di giorno nessuno li convoca, nessuno li chiama per nome, si creano un mondo di notte, tutto loro, per mettere in scena le forze della giovinezza che sono: il corpo, la bellezza, la sessualità, l’eccesso, la sfida, la gara, per diventare protagonisti nel fine settimana, dal momento che durante la settimana vengono sostanzialmente ignorati o vissuti dalla nostra società più come un problema che come una risorsa. E siccome il mondo reale li ignora i giovani ne hanno creato uno virtuale, dove le loro imprese, anche se spesso tragiche, trovano un riconoscimento di cui hanno un estremo bisogno, perché, come tutti sappiamo, senza riconoscimento, non nasce né si costruisce alcuna identità. E se l’identità e negata, resta solo quel surrogato che è la visibilità.
Umberto Galimberti

(Repubblica 3 marzo)

"Pedofilia, accusare quei preti fu una follia"

CITTA’ DEL VATICANO - Papa Francesco ha espresso ieri la sua solidarietà al clero di Roma per le «accuse ingiuste» di pedofilia e comportamenti promiscui mosse ad alcuni preti della diocesi dall'ex sacerdote Patrizio Poggi e appoggiate dal consigliere della nunziatura monsignor Luca Lorusso. «Sono stato molto colpito - ha detto - e ho condiviso il dolore di tutto il presbiterio per le accuse ingiuste, una pazzia». E ancora «Voglio dire pubblicamente che io sono vicino al presbiterio perché qui accusato è tutto il presbiterio. E voglio chiedere scusa a voi non tanto come il vostro vescovo ma anche come il responsabile del servizio diplomatico della Santa Sede, perché uno degli accusatori è del servizio diplomatico, ma questo non è stato dimenticato, si studia il problema per vedere che quella persona sia allontanata. E’ un atto grave di ingiustizia e vi chiedo scusa per questo, a tutti voi».

(Repubblica 7 marzo)

venerdì 28 marzo 2014

INAMMISSIBILE INGERENZA

Segreteria tecnica nazionale delle Comunità cristiane di base
c/o CdB di San Paolo
Via Ostiense, 152/B - 00155 – Roma
segreteria@cdbitalia.it - www.cdbitalia.it L’intervento del cardinale Bagnasco, che critica l’iniziativa promossa dal Ministero dell’istruzione (Miur) per sensibilizzare le scuole a promuovere un’azione informativa ed educativa per il rispetto delle diversità di genere e di orientamento sessuale e contro l’omofobia ed il conseguente bullismo, ripropone ancora una volta il problema delle interferenze del potere ecclesiastico nella vita politica italiana. E’, infatti, legittimo in regime democratico che parlamentari e genitori cattolici contestino la diffusione dei tre volumetti destinati agli insegnanti per realizzare quell’iniziativa che, a loro parere, metterebbe in discussione la famiglia “naturale” e incoraggerebbe i ragazzi all’omosessualità.
E’, invece, inammissibile che il Miur, dopo quell’intervento, abbia rinviato «a data da destinarsi» la due giorni di corso di formazione per i docenti prevista per questa settimana mettendo al bando, di fatto, il materiale informativo 'Educare alla diversità' curato dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali che rientrava nel piano Strategia nazionale Lgbt 2013-2015, lanciato due anni fa dal governo Monti e confermata dal governo Letta.
È evidente che, da un lato la Cei non intende rinunciare al connubio concordatario e, dall’altro, che la nostra rappresentanza politica continui ad essere ossequiente alle prese di posizione delle gerarchie della chiesa cattolica romana, come la ampia partecipazione dei nostri parlamentari e membri del governo alla messa papale odierna sembra dare segno.
Le Comunità cristiane di base
Roma, 27 marzo 2014

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

                        L’INCONTRO CHE APRE GLI OCCHI

 

Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so». Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane». (Giovanni 9, 1-41)

Uno dei guai più ricorrenti , quando leggiamo brani evangelici così lunghi, consiste nell’accelerare per giungere presto alla conclusione di un racconto così noto.

In questa pericolosa esperienza della lettura veloce, il rischio è grande perché non avviene il corpo a corpo con la Scrittura che esige lentezza, capacità di ascoltare e apertura ai “sensi nuovi” che ogni rilettura può regalarci.

Qualche annotazione introduttiva può aiutarci ad “ascoltare” e “gustare” in modo nuovo questa pagina che nasce dall’interno del cammino di una comunità che voleva vivere ed annunciare  quanto l’incontro con il messaggio di Gesù avesse cambiato in profondità la sua vita.

Un brano che ha una storia

 


Questo brano giovanneo, redatto con ogni probabilità tra la fine del 1° secolo e l’inizio del 2°, ha alle spalle una storia ed una esperienza.

Ormai abbiamo imparato dagli studiosi della Bibbia che i lunghi racconti del Vangelo di Giovanni sono costruzioni teologiche e non resoconti di cronaca, anche se certamente Gesù incontrò e in qualche modo si prese cura di alcuni ciechi che erano allora tra le persone più sofferenti ed emarginate. Qui tuttavia la cecità viene assunta come metafora di un atteggiamento interiore e non come realtà corporale.

La comunità di Giovanni pensava che aver incontrato Gesù, la sua persona e il suo messaggio, fosse stato per quegli uomini e quelle donne della Palestina un passaggio radicale, l’inizio di una vita nuova.

Questa memoria, che essi avevano ricevuto dalle precedenti generazioni di discepoli del nazareno, si espresse nella celebrazione comunitaria del battesimo. Nella comunità giovannea il battesimo degli adulti era la “illuminatio” cioè un passaggio dalla cecità alla vista, la guarigione dalla cecità, l’apertura degli occhi “interiori”, resi capaci di vedere la vita in modo nuovo.

Come al cieco era stato richiesto di andarsi a lavare nella piscina di Siloe, così per ricevere il battesimo era stato richiesto un cammino di impegno. Il battesimo, così preparato, non aveva nulla di magico, ma apriva davanti al fratello e alla sorella un orizzonte nuovo.

Collocarsi sulla strada di Gesù significava passare dalle tenebre alla luce. Era un cambiare vita.

Mi viene subito in mente che spesso i nostri battesimi (e un po’ tutti i sacramenti) non segnano nessun “passaggio”, non aprono nessuna nuova prospettiva, quando non finiscono in una mangiata in qualche ristorante tra i flash di tante macchine fotografiche o di cellulari ultramoderni.
Giovedì scorso ho partecipato nella comunità cristiana di base di Via Città di Gap 13 a Pinerolo al gruppo biblico giovanile. Ho percepito con grande emozione la consapevolezza di questi giovani dai 20 ai 30 anni che incontrare Gesù significa operare una svolta e progettare un cammino di fiducia e di solidarietà. Non mi stanco mai di ripetere  in questo bel gruppo che la compagnia di Dio, del Dio vicino, sarà la sorgente le cui acque non verranno mai meno, nonostante tutte le incertezze e le difficoltà di questo viaggio avventuroso.


Chi vede fa paura

Ma il vangelo, attraverso questo racconto così ricco di particolari significativi e di risonanze, compie un ulteriore passo di “svelamento” della realtà: quanto più una persona guarisce dalle sue cecità, tanto più diventa sospetta ai padroni del vapore, ai signori del sacro, agli “ufficiali” del tempio.

Il brano è addirittura divertente: ci si appiglia a tutto per negare l’evidenza, per far tacere chi ora vede, per squalificare un testimone. Quante manovre per far tacere il grido dei profeti, per spegnere le voci fuori dal coro, per manipolare la realtà. Recentemente, penso al vescovo Romero e a don Diana come a mille altri testimoni, si è elaborata una strategia sottile e seducente: si trasforma la loro vita, di umile ricerca e di solitudine istituzionale, in una fiction in cui si “costruisce l’eroe” e così

si ricupera il personaggio e si tradisce la storia. Il tutto per nascondere il vero cammino di chi faticosamente apre gli occhi e il cuore.

E con tristezza non possiamo non constatare che una delle perfidie della nostra istituzione ecclesiastica, una delle più pesanti responsabilità lungo i secoli è stato questo occultamento della verità, questo tentativo di mantenere le persone nella cecità, questo strangolamento delle voci libere, questa repressione della libertà.

Sono i custodi della Legge, i “sacerdoti”, i detentori della verità che hanno paura della luce. Quanti occhi vengono impediti e quante voci soffocate in nome di Dio. Questo “in nome di Dio” è doppiamente grave. Speriamo che papa Francesco si accorga che l’aria è diventata irrespirabile e bisogna aprire le finestre per non morire di asfissia ecclesiastica.

 


“Noi vediamo”

In realtà se ci fermiamo a questa denuncia, per quanto vera e motivata, rischiamo di rimanere a metà strada nella lettura di questa densa e provocatoria pagina evangelica. Potremo farne una lettura comoda e accomodante e perciò incapace di toccare il nostro cuore.

La ragione è evidente: posso essere io, possiamo essere noi nel rischio di collocarci dalla parte di chi presume di sapere, di vedere, di possedere la verità. “Noi siamo discepoli di Mosè … Noi sappiamo (vv 24, 29, 31)”

Nessuno di noi è al riparo da questa tentazione che spesso trova molto spazio proprio tra noi credenti. La presunzione di avere Dio in tasca può serpeggiare anche tra di noi.

Tutti possiamo essere abbagliati da un eccesso di certezze e così, armati di sicurezze, non sappiamo più vedere i segni di Dio che vanno oltre le nostre coordinate mentali. Abbiamo sempre bisogno anche degli occhi degli altri/e.

La prigione dei dogmi o del perbenismo è tra le più ricorrenti.

La comunità di Giovanni e il redattore del Vangelo mettono sulla bocca di Gesù una loro esperienza, una ripetuta constatazione: “Io sono venuto in questo mondo per una discriminazione, affinché quelli che non vedono ci vedano e quelli che vedono diventino ciechi”.

Per vedere bisogna partire dal riconoscimento della propria cecità. E tutti ne abbiamo un po’. Per giunta è più facile vedere quella degli altri e così dispensarci dal prendere atto della nostra. La testimonianza biblica, che sollecita il coraggio e la denuncia, non ci dispensa mai dall’impegno per la nostra personale conversione.

Intanto in questi giorni, mentre la propaganda di chi si appella ai valori cristiani per difendere i propri interessi, getta sabbia negli occhi della gente, riponiamo nel cuore l’inno di speranza del profeta Isaia.

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie (Isaia 35, 5 – 7).

 

Dunque….

 

Dunque, l’incontro con il messaggio amoroso di Dio, testimoniato da Gesù, può “aprire gli occhi dei ciechi”, può fare intravedere percorsi nuovi.

E’ vero: viviamo nel chiasso  e nella confusione, tra voci potenti che quasi impongono la loro verità. Saremmo tentati di dire che la umile parola  della Scrittura non regge al confronto. Ma Dio sa raggiungere i cuori anche come un vento leggero, un soffio impercettibile.

Non possiamo rassegnarci alle ingiustizie di questo mondo, ma possiamo aprire gli occhi e scommettere su un “paesaggio” nuovo, se davvero crediamo che l’incontro con Gesù può cambiare la nostra vita.

COMUNITÀ NASCENTE

Domenica 30 marzo dalle ore 10,30 alle ore 16 si svolge la giornata comunitaria della “comunità nascente”: celebrazione eucaristica, pranzo autogestito e conversazione pomeridiana su “che cosa sta avvenendo nella chiesa cattolica” con la partecipazione “straordinaria” di Tonino e Ida della comunità di Olbia.

Il cattolicesimo e la sudditanza delle coscienze

Sul quotidiano la Repubblica di venerdì 14 marzo è apparso un articolo a firma del professor Vito Mancuso dal titolo: Cosa sarebbe la chiesa se fallisse Francesco. Nell'insieme, si tratta di un articolo che espone delle tesi condivisibili; purtuttavia, nella sua parte conclusiva, l’autore esprime alcuni convincimenti che, a mio giudizio, meritano di essere discussi. Come è mia abitudine, parto dagli apprezzamenti. La tesi di fondo di Mancuso, secondo cui, cito, “l’epoca della fede dogmatico-ecclesiastica che implica l'accettazione di una dottrina e di un’autorità è ormai alla fine", è assodata. La novità risiede nel fatto che la suddetta tesi, ormai acquisita nell’universo laico dall’illuminismo in avanti, sta affacciandosi, sia pur con due secoli di ritardo, anche nel cattolicesimo istituzionale: in ambito accademico, difatti, essa aveva preso forma nel cosiddetto modernismo agli inizi del Novecento; nella coscienza comunitaria, invece, essa aveva fatto la sua comparsa in concomitanza con il Vaticano II, ovverosia appena cinquant’anni orsono.

L’aspetto sconsolante dei contesti ecclesiastici (quello protestante tradizionale, difatti, non fa eccezione) e che l’ovvietà necessita di essere ribadita e, per di più, viene contrabbandata per progressismo, sebbene, in verità, si tratti semplicemente di buon senso palesatosi fuori tempo massimo. La liberta d’espressione in ambito esegetico e teologico, la liceità della critica storica al metodo dogmatico, la laicità come fondamento inalienabile delle decisioni che concernono l’etica, non rappresentano nient'altro che le acquisizioni proprie della modernità, alla quale le chiese, nel loro insieme, hanno guardato e continuano a guardare con diffidenza, quando non con l’esplicito ribrezzo che scaturisce dalla censura cui si sentono per natura vocate.

Il dogmatismo è morto da tempo in Occidente: che il cattolicesimo istituzionale si appresti soltanto oggi a celebrarne le esequie è avvenimento che ha del patetico e del grottesco. Accontentarsi di questo riferimento forzato e tardivo è atteggiamento che pare mendicare quella che il Poeta definiva "la licenza de li superiori": il che, in tutta onesta, è a dir poco avvilente.

Vengo dunque alle perplessità che suscita in me la seconda tesi sostenuta dal professor Mancuso, il cui limite fondamentale mi pare che risieda nell'eccessivo peso che egli conferisce alle dichiarazioni e ai provvedimenti pontifici in ordine ai cambiamenti auspicati e auspicabili in ambito cattolico. Provo a chiarire il mio pensiero.

Che l'evoluzione o (come assai più spesso è avvenuto) l’involuzione del cattolicesimo siano destinate inesorabilmente a dipendere dalle concessioni di un sovrano assoluto o dalla sua personale inclinazione al riformismo, rappresenta, a mio modo di vedere, la radice del problema. Ovverosia: anche qualora in seno al cattolicesimo fosse possibile godere di una maggiore libertà di espressione e di ricerca in ragione del placet di un sovrano illuminato, ciò non sposterebbe di un millimetro la questione fondamentale che, a mio giudizio, risiede nella sostanziale sudditanza delle coscienze entro cui il sistema cattolico relega i suoi fedeli.

Se realmente ciò che il cattolicesimo progressista desidera è un cambiamento radicale dell'istituzione ecclesiastica, esso deve cessare di auspicare che la trasformazione anelata si produca a partire - in questo caso l’espressione è azzeccatissima - dalla "cupola", poiché, se cosi fosse, ogni cambiamento non potrebbe che rivelarsi fittizio: l’impostazione di fondo, difatti, consistente nell’asservimento delle coscienze all'autorità, non risulterebbe in alcun modo scalfita.

Ecco perché ritengo in ultima analisi ininfluente un'inversione di marcia innescata dai vertici di un’istituzione ancora dipendente dalle esternazioni del suo dux. Così come reputo del tutto innecessaria la "leadership spirituale" di cui, a detta del professor Mancuso così come di Eugenio Scalfari, l’Occidente avrebbe innegabilmente bisogno. Dal canto mio, preferisco un pensiero ed uno spirito adulti, emancipati. Invocare, in tal senso, una "guida" non rappresenta che il riflesso evidente e triste di una coscienza rimasta prigioniera di quello che Kant definiva “stato di minorità”.

P.S.: Mi scuso con le lettrici ed i lettori del blog per la mia prolungata assenza in questi ultimi tre mesi. La mia "latitanza" è stata causata dal trasferimento in Argentina, terra di cui, oggi, condivido le lotte, le rivendicazioni e le speranze. Sarà da qui che, d’ora in avanti, cercherò di aggiornare con regolarità questo spazio di confronto che, tante volte, ha giovato alla mia crescita umana e civile. Saluto tutti e ciascuna con affetto e stima.

Alessandro Esposito (pastore valdese in Bahia Blanca, Argentina)

(Micromega 19 marzo 2014)

giovedì 27 marzo 2014

COMUNICATO STAMPA: SE PARLA L'ALTRA META' DELLA CHIESA

* Esistono le "quote rosa" nella Chiesa? È possibile che una donna guidi una congregazione vaticana? Quando nel cattolicesimo potranno esserci preti donne? E papa Francesco riuscirà a cambiare una tradizione ormai secolare? Oppure non sono queste le domande fondamentali? Quando si parla di donne nella Chiesa, le discussioni sembrano concentrarsi sulla questione dell'accesso del mondo femminile all'ordinazione. In realtà, non è questo il nodo del problema. I temi che suscitano oggi le riflessioni più sentite nel cristianesimo saranno affrontate nel *convegno organizzato a Torino dal coordinamento Chiccodisenape, intitolato "Va' dai miei discepoli. Di' loro".
Le voci delle donne nella Chiesa. L'incontro pubblico, in programma sabato 29 marzo, dalle ore 9.30, nella Sala conferenze della Parrocchia Santa Rita (Via Vernazza 38)*, sarà l'occasione per discutere con teologhe, storiche e giuriste intorno all'"altra metà del cielo" che, nella storia della Chiesa, è stata spesso esclusa dalle scelte decisive.
Interverranno la teologa Stella Morra, docente nelle università pontificie a Roma, la giurista Ilaria Zuanazzi, del Dipartimento di Giurisprudenza, e la storica Clementina Mazzucco, del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Torino.
Dopo la relazione della teologa Morena Baldacci, sarà dato ampio spazio al dibattito pubblico. Alle 18, vi sarà la possibilità di partecipare alla celebrazione eucaristica.
 L'intenzione del convegno - precisano gli organizzatori e le organizzatrici - non è rivendicare per le donne ruoli di potere nelle istituzioni ecclesiastiche, ma ritornare alle origini del messaggio del Vangelo, dove Gesù ha offerto a tutti, uomini e donne, la possibilità di costruire relazioni autentiche di fratellanza. E anche - si può certamente dire - di sorellanza.
*Per informazioni:* Simona Borello 339.76.35.871 - Marta Margotti 334.61.29.719 - https://www.facebook.com/events/224851377708641/ *CHICCO DI SENAPE - Gruppo di credenti di Torino* chiccodisenape@gmail.com - chiccodisenape.wordpress.com [image: Immagine in linea 1]


DON DIANA

Ho già segnalato sul mio blog la terribile mistificazione della Fiction televisiva.
Il problema è sempre il solito: piacciono gli eroi … E così ci sentiamo tutti bravi ad applaudirli… Loro sono eroi … e noi non lo siamo e così … ce ne stiamo comodi…
Ciò che conta è l'impegno quotidiano che è possibile per ognuno di noi. Don Diana è stato un uomo e un prete che ha compiuto un cammino di consapevolezza e di impegno maturando giorno dopo giorno.
Questa “macchina degli eroi” è la stessa che fabbrica i “personaggi”, i big.
Forse dobbiamo imparare a valorizzare la fatica delle donne e degli uomini che non vestono mai i panni dell'eroe.
Il resto è un trucco pericoloso. Per vanificare la testimonianza di una persona la via più sicura e farne un eroe.

Franco Barbero

GRUPPO BIBLICO A TORINO

Venerdì 28 marzo ci troviamo in Via Principe Tommaso 4 dalle 18 alle 19,30.
Questa volta continuiamo la lettura del libro “Alla ricerca del Dio vivente”.