sabato 30 aprile 2011

GRUPPO PRIMAVERA


Sabato 7 maggio dalle ore 16,30 ci troviamo a Piossasco presso la parrocchia di San Francesco per una riflessione sul libro “In principio era la gioia” di Matthew Fox (Fazi Editore, pagg. 430, € 19,50).

Per informazioni Michele e Anna Maria 0119047812, Igor e Antonella 0119046785.

F WOJTYLA, BEATO ANCHE IL MERCHANDISING


Quanto a gadget, Giovanni Paolo II non ha rivali, batte la Madonna, San Giuseppe, San Francesco e Padre Pio. Parliamo della beatificazione del Primo Maggio. Ma è così dal 2 aprile 2005, il giorno della sua morte. Rosari e statue, magliette, tazzine da caffè e tappetini per mouse. L’ultima novità il cuscino-ricordo con l’immagine di Karol Wojtyla (nella foto, tratta dalla mostra ai Musei capitolini dal 28 aprile): assicura sonni sereni nel viaggio in pullman di ritorno dalle celebrazioni. La seconda fabbrica di San Pietro prospera. Peccato che i polacchi arriveranno già attrezzati: perché il merchandising su Wojtyla va forte anche nella sua patria. (Monica Mondo)

LA NINNA-NANNA DE LA GUERRA


La ninna-nanna de la guerra

Ninna nanna, nanna ninna,

 er pupetto vò la zinna 1:

 dormi, dormi, cocco bello,

 sennò chiamo Farfarello2

 Farfarello e Gujermone3

che se mette a pecorone,

Gujermone e Ceccopeppe4

che se regge co' le zeppe,

co' le zeppe d'un impero

 mezzo giallo e mezzo nero.

 

 Ninna nanna, pija sonno

ché se dormi nun vedrai

tante infamie e tanti guai

che succedeno ner monno

fra le spade e li fucili

de li popoli civili ...

 

Ninna nanna, tu nun senti

li sospiri e li lamenti

de la gente che se scanna

per un matto che commanna;

 che se scanna e che s'ammazza

a vantaggio de la razza ...

o a vantaggio d'una fede

per un Dio che nun se vede,

ma che serve da riparo

ar Sovrano macellaro.

 

Ché quer covo d'assassini

che c'insanguina la terra

sa benone che la guerra

è un gran giro de quatrini

 che prepara le risorse

pe' li ladri de le Borse.

 

Fa la ninna, cocco bello

finchè dura 'sto macello:

fa la ninna, ché domani

rivedremo li sovrani

che se scambieno la stima

 boni amichi come prima.

So' cuggini e fra parenti

nun se fanno comprimenti:

 torneranno più cordiali

li rapporti personali.

E riuniti fra de loro

senza l'ombra d'un rimorso,

ce faranno un ber discorso

su la Pace e sul Lavoro

pe' quer popolo cojone

 risparmiato dar cannone!

                                                Trilussa  ottobre 1914

COGLIERE I SEGNI DEI TEMPI

Il confine alluda a una cesura nel tempo. Una volta varcato, mai nulla potrà essere più come era prima. Proprio per questo in vita è bene che ci siano molti guadi, perché non siamo vivi se non operiamo anche strappi, rotture, salti nel vuoto. Desiderare di sconfinare in un altrove, saper guardare oltre la «siepe, che da tanti orizzonti il guardo esclude», osare far «naufragare» lo sguardo nell’infinito e nello sconosciuto, può certo includere il rischio di uno smarrimento, di una perdita. Ma rimanere al di qua, non affacciarsi mai all’aperto lo si può fare solo se si sceglie di rimanere chiusi dentro la prigione del tempo: sempre uguali a noi stessi, immobili, a fissarci come in uno specchio. Il presente, per essere vissuto pienamente, si deve nutrire anche di separazioni, di attese. Il respiro del tempo deve rimanere in ciò che è stato e muovere verso ciò che verrà per dare alimento a ciò che accade nell’istante. Per questo, se vogliamo cogliere il segno dei tempi, dobbiamo saper sviluppare una mobilità mentale capace di comprendere che la storia non ha gli stessi tempi ovunque: ciò che a noi pare, in questo momento, inaccettabile, era consuetudine indiscussa pochi decenni o pochi anni fa. Ma per chi abita un po’ più lontano da noi, quel tempo può non essere trascorso. Ciò che a noi è diventato imprescindibile, per altri può essere ancora oggetto di conquista. È da creature misere, incapaci di sguardo, ergerci a giudici di comportamenti altrui che fino a poco fa erano anche nostri.

(Gabriella Caramore, La fatica della luce. Confini del religioso. Morcelliana, Brescia, 2008, p. 20)

 

UNA PERLA

La pazienza

è un albero:

le radici

sono molto amare

ma i frutti

dolcissimi.

(Proverbio Tuareg)

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

                                   Una beatitudine  difficile

19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». 28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Giovanni 20,19-31)

 

Il risorto, in questo quadro pittorico e letterario che non fa cronaca ma descrive il travagliato percorso interiore dei discepoli, annuncia a più riprese pace e perdono. Il rapporto che essi, consapevoli del loro tradimento e delle loro fragilità, devono instaurare con Gesù e con Dio, è la gioia di chi si sente incondizionatamente accolto.

Gesù non fa un solo accenno alla “diserzione” dei discepoli nel Getsemani: vuole che assaporino la pace con Dio e che le” porte chiuse” dei loro cuori si possano aprire. E’ un messaggio prezioso per ciascuno/a di noi, in qualunque situazione ci troviamo. Dio non è mai in cagnesco  con noi e noi non usciamo mai dal Suo abbraccio, dalla Sua “benedizione”, per dirla nel linguaggio ebraico.

Possiamo sentirci vuoti, falliti, incapaci….ma non possiamo mai pensare che Dio non ci ami più. Possiamo essere fuori strada, ma Dio si rimette sui nostri passi e non ci molla mai. Il Suo è un amore incondizionato.

La strada e il dubbio

E’ inutile negare che in tanti momenti della nostra vita l’esperienza di fede deve fare i conti con il dubbio, la perplessità, lo sconcerto e lo smarrimento. Tommaso è la personificazione della nostra fatica di credere, della nostra difficoltà ad affidarci alla parola di Gesù e all’azione di Dio.

In qualche modo il racconto della incredulità di Tommaso ci aiuta a riconciliarci con la nostra umanità, con il dubbio, l’inquietudine e le mille nebbie che accompagnano il cammino della vita. Senza la “prova di Tommaso” la nostra fede potrebbe essere credulità . Interrogarci è il sentiero obbligatorio per avviarci ad una fede matura.

Pur senza aver visto

Le traduzioni presentano alcune varianti: “ Beati quelli che, pur non avendo visto, hanno creduto” oppure “ crederanno”. In ogni caso, pronunciata per i discepoli delle origini o per quelli futuri, il Vangelo annuncia una beatitudine, un cammino molto impegnativo, specialmente per i tempi in cui viviamo.

La mentalità empirica e scientifica, così ricca di pregi, ci ha resi molto abituati a dare credito a ciò che si tocca, si vede, si verifica. Si tratta di una dimensione importante e positiva per  il nostro stare al mondo. Però essa può rinchiuderci nella prigione del verificabile e portarci a negare ogni altra dimensione.

La fede è una scommessa che va ben oltre  ciò che si vede e si tocca. Oggi il dominio del visibile, l’invasione delle immagini, la seduzione del video possono farci correre il rischio di ritenere inesistente o irrilevante ciò che è inevidente o non appariscente.

In questi anni (e in questi giorni in modo particolarissimo) la chiesa cattolica ha sposato i grandi mezzi,lo spettacolare, il sensazionale, il miracolistico, la mondovisione, il linguaggio delle luci e delle immagini attorno alla beatificazione del papa Wojtyla.

E’ fede o spettacolo? Certo è una   ostentazione di potere, un profluvio di retorica e di emozioni che servono ad una istituzione potente, ma priva di profezia, a nascondere la sua crisi abissale e la sua marcia all’indietro, a occultare le sue paure e le sue disumanità.

Molti cattolici saranno coinvolti in questa ”operazione teatrale” con il rischio di confondere le ragioni malsane del potere ecclesiastico con il messaggio liberante del Vangelo.

Provo rispetto per i credenti, ma questo trionfalismo e questa papolatria, questo mercato del tempio….mi provocano nausea. Seminare la parola di Dio e la fiducia nel Suo amore mi sembrano strade diverse. La “logica del potere e del denaro”,  che lo scandaloso matrimonio di Vill e Kate e la solenne beatificazione del papa manifestano, mi sembra esattamente l’opposto della beatitudine che il Vangelo proclama. Davvero le strade dei potenti non tengono in alcun conto la miseria, l’emarginazione, la sofferenza  di milioni di uomini e donne. La beffa diventa bestemmia quando  tutto si compie in nome di Dio.

O Dio, sostieni quei cristiani che soffrono per questo trionfalismo. Un capo di stato e sommo pontefice, attorniato dai massimi magnati della terra e da prelati in vesti medioevali, pretende di parlare in nome di Dio, di rifarsi a quel Gesù storico che non si prostituì mai ai poteri oppressivi. Libera ciascuno/a di noi dai nostri piccoli o grandi compromessi.

 

Aggiungo un consiglio : per chi non si accontenta della retorica e delle versioni ufficiali consiglio la lettura di un volume prezioso in cui si racconta un’altra storia.

Ecco il titolo e gli autori:

G.GALEAZZI-F.PINOTTI, WOJTYLA SEGRETO. LA PRIMA CONTROINCHIESTA SU GIOVANNIO PAOLO  II,  Edizioni Chiarelettere, Milano 2011, pagg 330, Euro 16.

 

 

 

 

 

 

 


 

venerdì 29 aprile 2011

QUANTE COSE......

1) Wikileaks tira fuori una bombetta dopo l'altra. Secondo le sue documentazioni, il vaticano approvò le torture di Quantanamo. Stupirsi?

2) Il governo italiano ha trascorso una settimana di lacerazioni interne. Bossi vuole guadagnare voti alle amministrative e solo per questo si smarca da Berlusconi. Ma è solo un teatrino. La loro alleanza, fondata sui quattini,i è inossidabile.

3) Roma è invasa da pellegrini e gli affari prosperano. Adesso, per piacere, fate in fretta questa beatificazione e poi passiamo ad occuparci di cose serie come il PRIMO MAGGIO OPERAIO.

4) Napoli: i rifiuti costringono i bus a deviare percorso. Il miracolo di Berlusconi, più volte annunciato, non si è avverato e con l'estate sarà emergenza sanitaria.

CIBO BUTTATO






Il cibo buttato OGNI ANNO IN ITALIA nutrirebbe 44 milioni di persone

Il cibo buttato OGNI ANNO IN ITALIA nutrirebbe 44 milioni di persone.

Lo dichiara il professor Andrea Segré dell’Università di Agraria di Bologna: 20 milioni di tonnellate di cibo SPRECATO ogni anno in Italia, 37 miliardi di euro di valore corrispondente, circa al 3% del prodotto interno lordo del nostro paese. Come si fa a buttare via questa ricchezza enorme mentre ci sono famiglie che stentano ad arrivare a fine mese?

Segré e i suoi colleghi non si sono limitati a fornire delle cifre scioccanti. Hanno fondato Last Minute Market (http://www.lastminutemarket.it/), con il sostegno della Regione Emilia Romagna, hanno aperto supermercati dove si vendono a prezzi bassissimi prodotti ancora ottimi ma che stanno per superare la data di scadenza.

Ora, oltre agli alimenti, stanno proponendo anche medicinali prossimi alla scadenza e libri invenduti che le case editrici manderebbero al macero.

Ma ci sono molti altri prodotti che vengono buttati perché hanno piccoli difetti: un graffio o una confezione lacerata portano a buttare via televisori, computer, frullatori e altri elettrodomestici di ogni tipo. E che dire delle tonnellate di vestiti, borse e scarpe con marchi contraffatti che ogni anno la Finanza è costretta a distruggere? Siamo una società opulenta e folle.

SEME


Minuscolo

Minuscolo.

Minuscolo e invisibile

lui seme che affonda

calcato da zoccoli e da ruspe,

gli slitta intorno

sgusciando la fanghiglia,

e lui cala fin dove

quel limo si rapprende.

E’ lì la sua dimora,

eppure al sicuro non si sente,

occultandosi

difende da chi?

la sua minuzia

e la sua incalcolabile potenza.

Infila spesso il merlo

invernale il becco

nella crosta, la disfa,

taluno ne scoperchia,

taluno ne piglia, e spesso

si avvicinano nel buio

roditori sotterranei.

No, non c’è pace d’inverno

e di letargo in quella dimora,

la insidiano la fame

gioiosa e rabbiosa degli uccelli

e l’ingordigia dei topi

vorrebbe soddisfarli

ma lui deve custodire

la promessa del domani.

…. Ci pensa e già sente

spigare da sé

il prossimo frumento,

il campo oro-meriggio,

oh dolore, oh felicità.

Non ha importanza chi sia

l’autore della vita,

la vita è anche il proprio autore.

La vita è.

                        Mario Luzi

COGLIERE IL SEGNO DEI TEMPI

 Il confine alluda a una cesura nel tempo. Una volta varcato, mai nulla potrà essere più come era prima. Proprio per questo in vita è bene che ci siano molti guadi, perché non siamo vivi se non operiamo anche strappi, rotture, salti nel vuoto. Desiderare di sconfinare in un altrove, saper guardare oltre la «siepe, che da tanti orizzonti il guardo esclude», osare far «naufragare» lo sguardo nell’infinito e nello sconosciuto, può certo includere il rischio di uno smarrimento, di una perdita. Ma rimanere al di qua, non affacciarsi mai all’aperto lo si può fare solo se si sceglie di rimanere chiusi dentro la prigione del tempo: sempre uguali a noi stessi, immobili, a fissarci come in uno specchio. Il presente, per essere vissuto pienamente, si deve nutrire anche di separazioni, di attese. Il respiro del tempo deve rimanere in ciò che è stato e muovere verso ciò che verrà per dare alimento a ciò che accade nell’istante. Per questo, se vogliamo cogliere il segno dei tempi, dobbiamo saper sviluppare una mobilità mentale capace di comprendere che la storia non ha gli stessi tempi ovunque: ciò che a noi pare, in questo momento, inaccettabile, era consuetudine indiscussa pochi decenni o pochi anni fa. Ma per chi abita un po’ più lontano da noi, quel tempo può non essere trascorso. Ciò che a noi è diventato imprescindibile, per altri può essere ancora oggetto di conquista. È da creature misere, incapaci di sguardo, ergerci a giudici di comportamenti altrui che fino a poco fa erano anche nostri.

(Gabriella Caramore, La fatica della luce. Confini del religioso. Morcelliana, Brescia, 2008, p. 20)

 

 


OPERAI

Fiamme alte dieci metri, un inferno di fuoco. Era la notte del 6 dicembre 2007 quando allo stabilimento delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino divampò un devastante incendio alla linea 5. Uno, investito in pieno dal rogo, morì subito. Altri sette rimasero feriti. Sei morirono nei giorni successivi. Uno solo si salvò. Quella tragedia è stata rievocata per quasi 100 udienze davanti alla Corte di Assise: carenze della sicurezza, corsa al risparmio della multinazionale, i controlli Asl annunciati, gli estintori irregolari. La difesa ha insistito sugli errori degli operai. Una tragedia che ha segnato l’immaginario del lavoro nel nostro paese fatto di infortuni, malattie e morti. I morti sono stati 145 nei primi tre mesi di quest’anno... in media più di mille ogni anno nell’ultimo decennio. La Corte ha riconosciuto colpevoli i dirigenti e li ha condannati per «omicidio volontario» a pene molto pesanti, 16 anni e mezzo per l’amministratore delegato, da 9 a 13 per gli altri imputati. Condannata anche l’azienda come persona giuridica. Una condanna non è mai una vittoria. Pesa la tragedia. Indica la strada: sarà vittoria quando la sicurezza sul lavoro sarà una priorità di tutti.

(Giorgio Gardiol)

DA "IL CONTO DELL'ULTIMA CENA" DI MONI OVADIA

 

............Dunque, dopo alcune settimane che il pontefice romano si era insediato, una delegazione della comunità ebraica di Roma guidata dal rabbino capo si recava a San Pietro portando un'antichissima pergamena sigillata. Il papa, impassibile, riceveva la delegazione, il rabbino capo gli porgeva la pergamena con un sopracciglio alzato e il piglio interrogativo, e il sommo pontefice faceva spallucce, alzando sdegnosamente la mano a significare che non ci pensava nemmeno di accettare quel vetusto documento. A quel punto la delegazione ebraica lasciava il Vaticano.

  A ogni nuovo papa la scena si è ripetuta uguale per secoli. Fin quando è asceso al soglio di Pietro un porporato di indole assai curiosa – non ne faremo il nome per rispetto della segretezza – il quale ha attivato la propria diplomazia per concordare con l'allora rabbino capo di Roma un seguito, coperto dalla più assoluta riservatezza, da porre in atto al termine del solito rituale. Così il segretario di Stato del Vaticano e il presidente della comunità ebraica si sono accordati in gran segreto perchè a cerimonia conclusa  il rabbino capo rientrasse da una porticina nascosta, al fine di appartarsi col papa in uno studiolo e quindi a procedere a dissigillare la pergamena senza danneggiare il sigillo. Con lo scopo di conoscere, finalmente, il segretissimo contenuto dell'antico scritto.

  Per compiere con il vapore la delicata operazione ci vollero parecchi minuti....poi, con grande trepidazione, srotolarono la preziosa pergamena e, con la voce rotta dall'emozione, cominciarono a leggere l'intestazione:”Conto dell'Ultima Cena”.

 

   Non sono in grado di informare il lettore sull'ammontare dell'importo richiesto per quel celebre pasto a Gesù e agli apostoli. Essi, per risapute ragioni, non riuscirono a onorare il debito. Però sono in grado di riferire alcune cose riguardo a quella cena: Gesù e gli apostoli scelsero di sicuro una locanda nota per il suo rispetto delle leggi della Torah.

….. L'oste aveva di certo ripulito minuziosamente il locale da ogni minima traccia di cibo lievitato e di bevanda o condimenti fermentati, così come prescrivono i precetti del Pesakh. Quindi tutti avranno cominciato il rito con le benedizioni, a partire dal quaddesh, la consacrazione della festa in cui si recita il kiddush (la benedizione del vino), poi avranno bevuto il primo bicchiere di vino – un vino intenso e ricco dei profumi del sole e della santità, anche se enologicamente non “corretto” - e si saranno seduti comodamente e persino stravaccati (perchè l'uomo liberato dalla schiavitù non ha più costriziono). Avranno fatto l'urkhas, il lavaggio delle mani, senza recitare la benedizione, ed eseguito il carpas, l'atto di intingere del sedano, del prezzemolo o un pezzo di patata nell'aceto o nell'acqua salata recitando la preghiera:”Benedetto tu, o Signore, D-o nostro, Re del mondo, creatore del frutto della terra”.

    A quel punto Gesù avrà compuito la cerimonia del jahaz, preso dal piatto rituale tre azzime sovrapposte (nel piatto è necessario che siano presenti tre azzime coperte da un panno, la zampa anteriore di un agnello arrosto, della lattuga, del sedano, un uovo e del kharoset, una sorta di “fango” dolcissimo) ed estratto l'azzima di mezzo, poi l'avrà spezzata chiedendo che una delle due metà fosse nascosta. Fatto questo, avrà riempito il secondo bicchiere di vino e dato principio alla lettura della haggadah del Pesakh.

    La haggadah è il racconto della schiavitù d'Egitto, dell'oppressione degli ebrei e della loro liberazione a opera di prodigi e miracoli. Gesù avrà partecipato alla lettura, prestato attenzione alle quattro domande sul senso intimo della festa poste dal più piccolo partecipante al seder (con questa parola ebraica che significa “ordine” si definisce la cena pasquale), avrà ascoltato e ripetuto l'elenco delle piaghe mandate per domare la crudele caparbietà tirannica del faraone. Gesù avrà meditato con tremore sul passaggio con cui il Santo Benedetto si assume la piena e diretta responsabilità dell'uccisione dei primogeniti egizi, di uomini e animali, ne avrà di sicuro capito gli abissi e il significato intrinseco, avrà cantato i magnifici salmi e le commoventi melodie paraliturgiche.

 

Chissà che voce aveva, Gesù. Era intonato o stonato come il patriarca Abramo? Faccio un'ipotesi: Gesù forse non aveva una voce bella, ma di certo un'espressività perturbante e gioiosa come quella di Louis  Armstrong. Nel momento in cui, con ogni probabilità, intonò il Betzel Israel (all'uscita dall'Egitto), il salmo dalla melodia più intensa, gli apostoli forse ammutolirono e ascoltarono a bocca aperta.

    Nel corso del racconto tutti avranno bevuto gli altri due bicchieri di vino prescritti, tranne gli astemi, che avranno bevuto del succo d'uva. Poi il pasto sarà cominciato con il rohzah,

il secondo lavaggio delle mani seguito dalle parole: “Benedetto tu sia, o Signore nostro

D-o, Re del mondo, colui che ci ha comandato la lavanda” , e della sequenza dei “bocconi rituali” accompagnati dalle relative benedizioni: il motzì matzà, quando il capofamiglia solleva dal piatto rituale la prima matzà e la matzà di mezzo spezzata. Sulla prima azzima recita:” Benedetto tu sia, nostro Signore, Re del mondo, che fai uscire il pane dalla terra”. Sulla seconda invece pronuncia:” Benedetto tu sia, o Signore nostro D-o, Re del mondo, colui che ci ha santificato e ci ha comandato di mangiare azzima”. Poi distribuisce un pezzetto di ciascuna delle due azzime a ogni convitato, che lo intinge nel sale e ripete la benedizione.

    La matzà è il pane della libertà, dell'identità universalista del monoteismo, non lievitato e non salato, perchè non ci fu tempo di aspettare la lievitazione. Gesù ne avrà gustato il delizioso sapore di cartone al forno. Sì, delizioso, perchè è per antonomasia il cibo dell'uscita dalla schiavitù, e come lui noi lo apprezziamo durante la festa del Pesakh, perchè dobbiamo conquistare la liberazione anno dopo anno a ogni generazione.

    Dpo il motzì motzà si mangia il maror, l'erba amara, per ricordare l'amarezza della schiavitù e insieme per esprimere lutto per la morte degli Egizi annegati nelle acque di Yam Suf, il Mare dei Giunchi. Gli ebrei non attraversarono mai il Mar Rosso, se non nei marchiani errori di pessime traduzioni. Le acque di Yam Suf si richiusero sopra gli Egizi dopo il passaggio degli ebrei, provocandone la morte. Poi si intinge del prezzemolo o del sedano nel kharoset, uno straordinario impasto dolce e denso come un fango fatto con fichi, datteri, mandorle, essenza di arancio e vino liquoroso, per ricordare il fango con cui gli ebrei erano costretti a impastare i mattoni, e si dice:” Benedetto tu sia, o Signore D-o nostro, Re del mondo, colui che ci ha santificato con i suoi precetti e ci ha comandato di mangiare l'erba amara”. E da ultimo, in ricordo del santuario, dopo averlo distribuito ai commensali si mangia il korekh, preparato con un pezzo della terza azzima avvolta in erba amara e intinta nel kharoset, e si recita:” In memoria del santuario, come faceva Hillel il vecchio che avvolgeva (azzima ed erba amara e  kharoset) per osservare letteralmente la prescrizione del testo ( Esodo,12,8). Con azzime ed erbe amare lo mangeranno (l'agnello pasquale)”.

   Alla fine di questi passaggi ha inizio la cena vera e propria. Gesù quella sera avrà mangiato delle uova, simbolo dell'integrità della vita; inevitabilmente l'agnello o il capretto, in ricordo della terribile notte in cui furono uccisi i primogeniti egizi mentre le case ebraiche venivano “saltate”, perchè come ordinato da Mosè gli ebrei avevano segnato gli stipiti delle porte con sangue di agnello. Saranno stati messi a tavola cibi a base di legumi e verdure, piatti come il hommus, la tahina, il ful medammes, tutti avranno bevuto vino in abbondanza e accompagnato le pietanze con azzime, avranno forse assaporato, al modo di noi ebrei sefarditi, i burmuelos, pezzi di azzima immersi nell'acqua, strizzati, poi passati nell'uovo sbattuto, fritti nell'olio e da ultimo immersi nel miele, e altri dolci. Pensate cosa si può fare con la frutta secca, la farina di azzime e il miele.

     Alla fine del pasto tutti avranno recitato la birkhat ha mazon, la benedizione sulle pietanze; quindi, per chiudere definitivamente la cena, avranno mangiato un pezzetto della mezza azzima nascosta e “rubata”  per ricavarne un compenso dal più piccino dei commensali. La metà nascosta della seconda azzima si chiama afikoman. La parola afikoman viene dal greco epikomen o  epikomion, che significa “ciò che viene dopo” o anche “dessert”, quindi da essere consumato alla fine del pasto in ricordo del sacrificio pasquale praticato nel tempio. La mishnà di pessahim spiega che l'afikoman è un sostituto del korban Pesakh, il sacrificio pasquale, ed era l'ultima cosa mangiata nel seder di Pesakh, la cena pasquale, nell'era del primo e del secondo tempio e all'epoca del mishkàn ( il tabernacolo). La ghemarà insegna che è proibito mangiare altro cibo dopo l'afikoman, così da mantenere nella bocca il gusto della matzà, che è il sapore della liberazione dalla schiavitù.

   La nottata sarà proseguita in allegria con i bellissimi canti di festa. E se Gesù non fosse stato arrestato dai Romani, si sarebbe attardato fino all'alba a interpretare con sottilissimi commentari l'uscita dall'Egitto.

 

    Ecco ciò che con tutta probabilità fece l'ebreo Gesù quella sera. Credo che sia giunta l'ora di smettere di ripetere a pappagallo che Gesù fu ed è ebreo, e cominciare a dirlo con cognizione di causa spiegando cosa fa un ebreo qualsiasi nelle ricorrenze ebraiche quotidiane e festive. Certo Gesù, il cui autentico nome ebraico era Iehoshua, non fu un ebreo qualsiasi, ma dall'alto della sua umiltà e semplicità nei confronti della Torah, di sicuro si comportò come tale.

    Ciascun essere umano ebreo, cristiano, musulmano ma anche gnostico, ateo o diversamente credente dovrebbe una volta nella vita partecipare a un seder di Pesakh, per riallacciarsi alle radici più profonde della liberazione da ogni forma di schiavitù. Ogni anno a casa mia lo prepariamo e lo celebriamo nella sua completezza con tanti amici – siamo arrivati a essere cinquanta – ebrei, cristiani, agnostici, atei e diversamente credenti. Leggiamo l'haggadah prima in ebraico e poi in italiano, o in altre lingue se sono presenti non italiani. Teniamo la porta d'ingresso socchiusa nel caso dovesse onorarci con una sua visita il profeta Elia oppure un viandante, che è sempre e comunque un annuncio del profeta.

   A ogni nuovo anno dico a un amico porporato cattolico che prima o poi dovrebbe trovare il modo di accettare il mio invito, e per sollecitarlo lo provoco scherzosamente dicendo:” Vedi, eminenza, Gesù ha regalato a voi cristiani la vostra bella Pasqua, ma lui festeggiava la nostra”.

 

       Da: il conto dell'ultima cena di Moni Ovadia ed.Einaudi

       l'autore e l'editore consentono la riproduzione parziale o totale dell'opera

       e la sua diffusione per via telematica, purchè non a scopi commerciali e a

       condizione che questa dicitura sia riprodotta.

ALEX LANGER

Se è giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi,

non mi sembra invece né giusta, né risolutiva l'idea di farne derivare,

con una sorta di funesto automatismo, la sanzione bellica.

ABRAMO LINCOLN

Non anniento forse

i miei nemici

rendendoli amici?

martedì 26 aprile 2011

AI LETTORI E ALLE LETTRICI

SARO' ASSENTE PER QUALCHE GIORNO ED E' PROBABILE CHE NON MI SIA POSSIBILE AGGIORNARE IL BLOG.
A RISENTIRCI A FINE SETTIMANA

INCLINAZIONI SESSUALI

Raccontando la sua ultima barzelletta, Silvio Berlusconi, ha ringraziato Dio perché la «percentuale di omosessualità» che si ritroverebbe, per natura, in ogni persona è, nel suo caso, quella «lesbica» (il che gli consentirebbe di continuare a fornicare con le donne). Risatona generale. Ora, qui siamo tutti evoluti e amicissimi di omosessuali lesbiche e transgender e perfino degli eterosessuali. Dunque, quel 25% di «omosessualità femminile» presente nel premier ci va benissimo. Ci inquieta, piuttosto, quel restante 75 per cento che Berlusconi non ha voluto meglio definire. Zoofilia? Coprofilia? Necrofilia? Tenete lontani i ragazzini, ché non si facciano strane idee sulla politica (e su Dio).

Capitan Miki (L’Unità 18/04)

L'ORA LEGALE

È scattata l’ora legale. Fosse vero! Se scoccasse sarebbe finalmente uguale per tutti. Nessuno attenterebbe più all’autonomia dei giudici. Tutti pagherebbero le tasse dovute per rendere più lieve il prelievo fiscale. Per tutti. La Corte dei conti non dovrebbe più denunciare l’ammontare di 60 miliardi di euro annui derivanti dall’attività di corruzione e ogni italiano avrebbe mille euro in più a disposizione. Terminerebbe la corsa dei capitali verso paradisi fiscali. Anche il mio barista farebbe sempre lo scontrino senza che io glielo chieda e l’idraulico, l’oculista, l’avvocato, il dentista e l’agenzia di pompe funebri non ci presenterebbero più due conti separati con e senza fatturazione. Se l’ora legale scattasse davvero, metteremmo le lancette dei nostri orologi un’ora avanti sulla via della giustizia. L’ora legale (quella dell’orologio!) è scattata mentre si bombardava in terra straniera in attuazione di una risoluzione dell’Onu che 66 anni fa nasceva «per preservare le future generazioni della tragedia della guerra». Quale ora dobbiamo aspettare perché le Nazioni Unite dichiarino il proprio fallimento o siano messe in grado di funzionare davvero? In attesa dell’ora legale (quella vera!) ciascuno affretti il tempo dell’onestà e della responsabilità, della lealtà e della fedeltà alla comunità di cui si è parte”.
Da Rocca, Tonio Dell'Olio.

 

 


UN BEL MATTINO DI PASQUA

Ogni anno il mattino di Pasqua la sede della comunità cristiana di Pinerolo registra alcuni "passaggi" di persone desiderose di silenzio, dialogo e confronto. Cerco di non mancare a questi appuntamenti imprevisti. Così quattro ragazzi gay sono passati per dialogare sulla loro storia d'amore e sulla loro ricerca di fede. Queste persone compiono un passaggio importante, direi un vero esodo: dalla sottomissione alle leggi ecclesiastiche alla scoperta del Vangelo dell'amore.

ROMA E' ANCHE DEI ROM


Dopo tre giorni di dura lotta, Roma solidale trova le risorse per garantire una prima reale, dignitosa accoglienza alle famiglie Rom sgomberate durante la Settimana Santa dalla giunta Alemanno. Assicurare un tetto, l'integritá dei nuclei familiari e il diritto alla permanenza sul territorio sono le condizioni minime per le politiche necessarie di qualsiasi paese civile e democratico. Per questo, diamo atto alla Caritas e alla Comunitá di Sant'Egidio dell'impegno col quale hanno contribuito a costruire una soluzione che per la prima volta ha accolto le richieste dei Rom. Il nostro auspicio é che le giornate di S. Paolo segnino la fine del cosiddetto PIANO NOMADI, prodotto della politica confusa e contraddittoria della giunta Alemanno, fatta di sgomberi e "sicurezza-spettacolo". Le associazioni e i movimenti che hanno collaborato con le realtá di base e i singoli cittadini per la felice conclusione di questa lotta, vigileranno per contrastare qualsiasi sgombero. Buona Pasqua e buon 25 aprile, quindi, a tutta la cittá di Roma ed ai Rom in essa ospitati. Ricordando Vittorio Arrigoni, RESTIAMO UMANI! 
Coordinamento Tre Giornate Rom a San Paolo




PERCHE' SI SAPPIA



Brescia. Morto il piccolo sinti cui le autorità hanno tolto l'ossigeno 

di  Giuseppe Spatola - corriere.it (http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_aprile_19/brescia-morto-bambino-rom-ossigeno-roulotte-190467672428.shtml)

Brescia, 19 aprile 2011. Tommaso non ce l'ha fatta. Piccolo e malato, il bambino di 17 mesi, diventato suo malgrado il simbolo della lotta tra sinti e Comune di Brescia, è morto ieri pomeriggio agli Spedali Civili dove era ricoverato da due mesi. Il 14 febbraio scorso, dopo il blitz della polizia locale e la sospensione della corrente alle roulotte del campo, Tommaso era stato ricoverato d'urgenza. Dimesso dopo due giorni, il piccolo si era poi di nuovo aggravato tanto da dover tornare in ospedale. Tommaso soffriva di una malattia genetica rarissima (solo 14 casi al mondo) che si chiama H-ABC: un sondino fissato a una narice e a una macchina per l'ossigeno gli permettevano di sopravvivere, con mamma Fenni ad accudirlo e papà Samuel sempre pronto a qualsiasi emergenza.

Come la notte di San Valentino, quando dopo gli scontri con la polizia, mancata l'elettricità, ha dovuto procurarsi con le buone o con le cattive un generatore portatile per tenere in vita il suo bambino. «È nato così - spiega lo zio, Giovanni Tonsi, allargando le braccia -. Per malattie come la sua non c'è guarigione. Certo, quel giorno che il Comune ha staccato la corrente è stato tutto più difficile...». Al campo di via Orzinuovi, dove l'amministrazione di Palazzo Loggia non ha ancora riattivato i bagni perché aspetta di sgomberare gli ultimi abusivi, non accusano nessuno. Anzi, i sinti tendono la mano al sindaco, Adriano Paroli, perché la morte di Tommy serva a sancire una tregua. 





 
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