sabato 21 ottobre 2006

Dopo e oltre Verona

L’assemblea della chiesa cattolica italiana si è chiusa.

Qualche voce di dissenso è risuonata anche all’interno dei pochi spazi in cui gli scrematissimi e selezionatissimi delegati/e potevano intervenire.

Tutto sommato, è balzato in evidenza che questo genere di “assembramento cattolico” non ha più né senso, né valore alcuno rispetto alle sfide che la fede deve affrontare. Il metodo mortifica la libertà e rende irrilevante il discorso. Quelli/e che avrebbero qualcosa da dire sono stati prudentemente e deliberatamente esclusi/e.

Ora che questo irrilevante e inutile adempimento si è concluso, con una eucarestia in cui si è adorato il papa (= papolatria), resta un motivo in più per individuare altri percorsi di comunità, uscendo dalle solite canzoni e dai consueti trionfalismi, costruiti per coprire il vuoto.

E’ chiaro che da questa gerarchia non ci si può aspettare un briciolo di profezia.

Rilanciare la comunità

Da una chiesa àfona (=senza voce), monétona (=che ha una sola voce) ad una chiesa monòtona (=che ripete sempre le stesse cose) il passo è breve. Il frutto è una realtà ecclesiale “àtona” (=priva di vitalità).

Rilanciare la comunità significa riprendersi la parola e la responsabilità di decidere le scelte della propria esperienza comunitaria senza lasciare la “direzione” al clero. Si tratta di riprendere e costruire un cammino sinodale, cioè una pratica di corresponsabilità di decisione condivise. A volte esercitando anche il ministero profetico del dissenso.

Un pensiero ossessivo, debole, deviato

A Verona si è ascoltato un papa monotono, che non sa andare oltre le trite e ritrite considerazioni sulla famiglia e sulla secolarizzazione. Uno spettacolo penoso di un pontificato tetro, triste, terrificante.

Davvero il pensiero di Benedetto XVI è debole, incapace di guardare avanti, di spingersi oltre le sue categorie eurocentrice ed ellenistiche. Soprattutto è un pensiero “deviato”, cioè “fuori strada”. Fuori dal percorso della gente che cerca una vita adulta. “Deviato”, nell’etìmo latino, significa “fuori dalla strada”; io direi fuori da quella vita che si svolge nei sentieri dei comuni mortali.

Anziché bollare altre persone di amori deboli e deviati, il papa potrebbe cominciare a interrogarsi se per caso il suo ministero non si sia trasformato nel “mestiere del gufo tra le macerie”.

Incapace di imparare, questo pontificato sta pesando sulla istituzione cattolica come un’ombra densa e nera che prelude e preannuncia solo e sempre temporali, grandini, fulmini e saette.

La speranza che cresce

Ridotta la parola del papa a semplice opinione di un ministro della chiesa, possiamo cercare parole ben più autorevoli in tanti altri spazi ecclesiali, culturali e politici.

Soprattutto la speranza e la fiducia crescono in noi quando ci nutriamo del messaggio biblico e facciamo riferimento alla persona storica di Gesù di Nazareth e al suo messaggio.

Il vangelo deve occupare il nostro cuore. Allora anche il richiamo di monsignore Tettamanzi, a vivere più che a proclamare la nostra fede, avrà un senso.

Dalla Bibbia e dalla vita quotidiana, se il nostro cuore sa ascoltare, giungono continuamente a ciascuno/a di noi tanti inviti a “costruire” percorsi di giustizia e di solidarietà.

venerdì 20 ottobre 2006

Verona: altre voci

Non posso ancora crederci. Martedì 17 ottobre al Circolo PINK di Verona non mi aspettavo certo quelle sessanta persone (molte incontrate e conosciute là per la prima volta) con le quali ho svolto un dialogo che si è protratto fino a notte fonda.

Grazie, cari amici e amiche, del Circolo PINK per la vostra ospitalità e per la vostra partecipazione. Mi erano giunte parecchie voci per dirmi che “quello non era il luogo adatto” e che “andare a casa di omosessuali, lesbiche, transessuali”... era almeno inopportuno, che era “possibile trovare una sede più adatta”...

Ringrazio Dio che non ho ceduto a queste pie raccomandazioni. Ho sempre constatato che le “terre più benedette” ben sovente sono fuori dagli spruzzi di acqua santa e dai confini del perbenismo, anche di sinistra.

E’ stato fecondo scambiarci opinioni e speranze, intenti e progetti e vedere che laicità e fede possono camminare insieme e che le lotte contro le strutture oppressive anche ecclesiastiche sono condivisibili e ci accomunano.

Ho constatato un grande rispetto per l’esperienza di fede in questi amici e amiche di Layca che individuano e combattono nella religione ufficiale, una delle componenti del dominio sulle coscienze e sulla vita quotidiana di tantissime persone. Sanno che esistono una chiesa “altra” e una fede liberante. Ho vissuto con loro e con altri fratelli e sorelle una serata che non dimenticherò.

A Verona, oltre al papa, i cardinale i convegnisti ufficiali... si sono sentite altre voci. In una città blindata all’inverosimile e in mezzo a tante bocche cucite ci sono persone che non hanno bisogno di fare notizia per creare riflessione, solidarietà, speranza.

Soprattutto possono esprimere opinioni in libertà e cercare sentieri di vita in cui la “benedizione gerarchica” è del tutto superflua.

giovedì 19 ottobre 2006

"So di 2000 preti gay"

"SO DI 2 MILA PRETI GAY"
Non la manda certo a dire, don Franco Barbero, ed è anche per questo (e le sue battaglie contro l'omofobia) che la chiesa lo ha ridotto allo stato laicale

da: il manifesto, 19 ottobre 2006
di Paola Bonatelli

Verona - «Continuo a celebrare matrimoni, anche fra gay e lesbiche, e so di almeno duemila preti omosessuali che hanno paura a dichiararsi tali». Non la manda certo a dire, don Franco Barbero, ed è anche per questo (e le sue battaglie contro l'omofobia) che la chiesa lo ha ridotto allo stato laicale. Insomma, lo ha cacciato.

Il sacerdote non è a Verona per il convegno della Cei ma per il «contromeeting» del circolo Pink di Verona, dove ha parlato di «Una chiesa "altra" che sa ascoltare e accompagnare». Dopo il suo intervento e l'intenso dibattito che ne è seguito, gli abbiamo rivolto alcune domande.

Don Franco, lei continua a celebrare messe e matrimoni?

La Chiesa mi ha dispensato dai miei obblighi di sacerdote ma la dottrina ufficiale dice che chi è prete lo rimane per sempre. Io per il Vaticano esercito illecitamente. Mai come adesso ho fatto il prete. Mi occupo di scienze bibliche, seguo una comunità di duecento persone, tra cui moltissimi preti e suore, dico messa in una cappella concessa dal Comune. E continuo a celebrare matrimoni. Anche fra persone omosessuali e transessuali.

Lei è un prete scomodo. Ma quanti ce ne sono come lei?

Pochissimi visibili ma tra gli indirizzi della mia posta elettronica ci saranno almeno 5000 preti e più di 2000 sono gay. Cose che non si sanno perché l'Italia è poco laica, le notizie che riguardano la fede vengono filtrate da giornalisti interni al mondo cattolico. E poi, la prima cosa che ti toglie la Chiesa è lo stipendio. E per molti preti, se gli togli la parrocchia, cosa mangiano?

Il convegno di Verona parla di speranza. Lei ne ha?

Molta. Noi siamo una regione dell'impero vaticano ma i processi di laicità avanzano perché la realtà sopravanza le pratiche politiche. La speranza la vedo nella gente, nei movimenti, nei gruppi. Io seguo un gruppetto di suore lesbiche, che ovviamente sono uscite dal convento. Hanno ritrovato il loro equilibrio, un po' di serenità. Io credo che ogni uomo ed ogni donna abbiano qualcosa da dire. Dobbiamo vincere la paura, abituarci al confronto. Nessuno ha la verità, nemmeno il papa e quelli che lo idolatrano. Ma abbiamo il diritto di manifestare delle opinioni. Anche di fronte ai dogmi.

Nebbia e poco altro

Più sento parlare di “partito democratico” e più temo che si tratti di discorsi da generali senza truppa.

Non vedo profonde convergenze programmatiche e una prospettiva comune, nemmeno nel parlamento europeo.

Una cosa è il bisogno di unità che le Primarie hanno chiaramente espresso: altra cosa è una unificazione che ora è fondata più su principi che progetti. Si dice, a ragione, che il processo è appena agli inizi e che occorreranno tempo e pazienza per portarlo a termine.

Tutto questo è condivisibile. Ma le varie anime dell’eventuale Partito Democratico su molto terreni evidenziano più divergenze che convergenze. Buona parte del ceto politico che sta al timone di tutto il progetto è tuttora di fedele discendenza democristiana e di chiara obbedienza vaticana.

Penso che, se non avverrà un chiarimento reale sul terreno dei contenuti, presto il partito democratico passerà all’archivio oppure si creerà qualche ulteriore spaccatura a sinistra. Partecipo con molto interesse a questo dibattito.

Intanto sarebbe bello leggersi, per premunirsi contro eventuali derive americane, il volume “La democrazia di Dio” (Edizioni Laterza) e osservare con attenzione il degrado del partito democratico USA.

Vittorio Zucconi documenta come per le imminenti elezione di “midterm” i democratici punti sul fascino e l’avvenenza dei candidati. “Uno strano esercito marcia alla conquista della democrazia americana. Non brandisce armi o sacri testi, ma pettini, asciugacapelli, tinture, trucchi. I suoi generali sono visagistes, parrucchieri, i suoi ideologi sono giudici da miss o mister America, perché in questa confusa e scandalizzata stagione elettorale americana tra morti in guerra in Iraq e morti di vergogna in Parlamento, la bellezza dei candidati è l’arma che l’opposizione democratica spera di brandire per strappare il Parlamento ai Repubblicani di Bush... Da quando è la telecamera la chiave del consenso, coloro che sono amati dall’obbiettivo tendono ad essere amati anche da un elettorato che guarda più di quanto pensi” (La Repubblica, 15 ottobre).

In un paese dove il 7 novembre “un viso attraente è un vantaggio”, si profila una competizione elettorale in cui “tra brogli, impicci, sporchissimi trucchi, morti che votano e vivi che non riescono a votare (Vittorio Zucconi), potrebbero trionfare i belli, i sexy, i seduttori.

Speriamo che, visti i criteri altissimi, nobilissimi e validissimi ai quali si ispira l’opposizione democratica USA (questa palestra di valori,,, la più grande democrazia del mondo!!!), il costituendo partito democratico italiano non imbocchi la strada dell’estetica. Tra elezioni e concorsi di bellezza dovrebbe restare una differenza. Noi in Italia abbiamo già “goduto” un governo dei mafiosi: un governo dei belli forse non sarebbe peggiore, ma sarebbe certamente un po’ troppo.

Continuo ostinatamente a pensare che in Parlamento si deve fare politica, che inseguire gli Stati Uniti d’America e importare il suo modello sia una scelta che conduce alla superficialità, al degrado, all’instabilità, alla violenza. Da molti anni ormai la parola “democrazia” viene usata senza alcun riferimento alla realtà e nel suo nome si dichiarano guerre e si sterminano popoli interi.

Per questo preferisco una pur instabile alleanza di centro sinistra ad un partito democratico che guardi al modello americano. Sono convinto, fino a questo momento, che è possibile costruire una alleanza più capace di farsi carico della propria unità d’azione, senza doversi immolare e impantanare nelle sabbie mobili di un partito nato da un compromesso più che da un progetto.

lunedì 16 ottobre 2006

Intervista a don Franco Barbero

D) Che senso può avere questo incontro che avete organizzato a Verona presso il Circolo PINK martedì 17 alle ore 21?
R) Non si tratta né di un controconvegno né di un convegno parallelo. Abbiamo pensato ad un incontro spontaneo e simbolico al quale conferiamo un significato costruttivo.
Vogliano dire che ci sono anche altre voci nella chiesa italiana e che il “contenitore ufficiale” è troppo piccolo, selezionato, scremato...

D) Sarete ospiti del Circolo PINK di via Scrimiani 7 a Verona... non proprio in un sede religiosa e neutrale... Perché?
R) Non conosco direttamente il Circolo PINK, ma lì, alla mia richiesta di ospitalità, hanno risposto affermativamente. Non abbiamo i soldi per prenotare un locale...

D) E’ incredibile questa sua voglia di dialogo anche di fronte a tutte le porte sbarrate...
R) Sì, cedo che questa sia una strada tutt’ora valida. E noti che noi, come spiegherò quella sera, non veniamo per insegnare ad altri quali siano le “cose giuste” e le “cose sbagliate” nella chiesa italiana. Veniamo per porgere un invito che riguarda anche noi in prima persona: ci sembra che le nostre comunità non siano capaci di ascoltare e di accompagnare e che spesso pretendano di dirigere...

D) Proposte concrete?
R) Tante, ne sono venute in questa settimana dalla comunità cristiana di base di San Paolo di Roma, dalle “voci” pubblicate su Adista... Tante buone proposte, ma io credo che ci sia bisogno di un profondo cambiamento di atteggiamento: basta con i documenti preconfezionati: “Meno circolari e più circolazione”. Se non cambia l’atteggiamento di fondo, il “comitato centrale cattolico” proseguirà per la sua strada e il popolo di Dio, almeno quello adulto, cercherà altri pascoli. Questo, a mio avviso, significherebbe la fine del confronto.

D) Ma non ha l’impressione che tutto dimostri il contrario e che i giochi siano già fatti?
R) Dove ci sono persone, in realtà ci sono sempre possibilità di riaprire i giochi perché Dio, anche quando le istituzioni chiudono ogni passaggio, sa aprirsi un varco anche attraverso le porte chiuse. Oggi i cattolici, almeno quelli adulti nella fede, possono porsi il problema di trovare un modo nuovo di “stare nella chiesa”, di essere chiesa. Non più cristiani che vanno in chiesa, ma uomini e donne che sono chiesa, che hanno voce e responsabilità, che prendono la parola, che decidono insieme e non sono esecutori di ordini piovuti da una autorità superiore.

D) Perché, don Barbero, fa l’ingenuo? Lei sa benissimo che le conclusioni sono già stabilite...
R) So bene che convegni come questi “spesso servono a convogliare e mantenere all’interno delle strutture del consenso vaste masse di persone molto convinte e generose, di solito però non altrettanto colte e consapevoli” (Lilia Sebastiani, Rocca, 15 ottobre). Ma c’è sempre qualche persona che guarda oltre...
C’è anche di peggio: mi trovo già a Verona e dai segnali mi accorgo che tutto è pronto per lo spettacolo papolatrico. Più che a Dio qui si pensa al divo Ratzinger. L’idolatria è sempre in agguato, anzi si è insediata nella chiesa.
intervista a cura di Serena Corfù

mercoledì 4 ottobre 2006

Serve una scomunica?

Il Vaticano, comunicando che la legge ecclesiastica ha comminato la suprema sanzione espulsiva a monsignor Milingo, sa bene che non ha risolto nessun problema.

Milingo, questo vecchio e notissimo vescovo africano, non è affatto un rivoluzionario. La sua teologia e la sua pratica pastorale sono addirittura molto tradizionali. Talune sue celebrazioni, che danno grande risalto ad esorcismi e guarigioni, forse comprensibili nel contesto africano, in Europa e negli USA hanno accentuato la dimensione dello spettacolo e della superstizione. Di lui ho diffusamente scritto in uno dei miei recenti libri “L’ultima ruota del carro” senza molta simpatia.

La tempesta vaticana lo investì quasi sei anni fa quando decise di sposarsi con Maria Sung, una agopunturista coreana. In quegli anni fui affettuosamente vicino a questa donna che mi incontrò a Roma e venne a trovarmi a Pinerolo. Quando Milingo sotto pesanti pressioni vaticane si dileguò, Maria Sung fu gravemente offesa nella sua dignità e nei suoi sentimenti.

La ricordo bene, seduta nel mio studio, assolutamente sicura dei suoi sentimenti e dell’amore di suo marito: “Devono lasciarmelo incontrare. Nessuno mi convincerà del fatto che mio marito Milingo mi abbia dimenticata. Voglio sentirlo dire da lui, non da un vescovo di curia. Voglio poterlo incontrare e, se lui deciderà di lasciarmi, prenderò atto della sua decisione...”. Non potei esserle di molto aiuto perché quel prelato vaticano omosessuale che mi aveva fornito riservatamente alcune notizie, forse per paura di essere messo nei guai, non si fece più vivo con me.

In tutta la vicenda di Milingo, in realtà l’istituzione ecclesiastica si comportò come se questa donna non esistesse. Lidia Ravera, intervenendo in quei giorni su un quotidiano scriveva:

“Si può provare una istintiva simpatia per quella cicciotella determinata quanto facile alle lacrime che è la signora Milingo, si può trovare bizzarra la sua scelta di sposare un vescovo esorcista dall’ambigua collocazione ideale (è un servitore di Dio? un venditore di fede? un mercante in magie?), si può sospettare di scempiaggine tutta quanta la setta di Moon (vi ricordate la parodia de “L’ottavo nano”? “Trova Dio prima che Dio trovi te”).

Eppure viene voglia di spendere una parola in suo favore. Non è la solita tiritera femminista che dietro ogni donna abbandonata vede una sorta di agnello sacrificale da sistemare in testa al corteo per contestare le soverchierie del fallo. E di meno, ma anche di più. E che, soprattutto in questo caso, è difficile capire le ragioni del Papa, Giovanni Paolo Secondo, e della schiera dei vescovi e cardinali che si muove ai suoi ordini: Non è questione di essere o non essere laici. E’ questione di essere o non essere donne.

Il Papa, nonostante alcune esternazioni “moderne” che anche noi siamo fìglie di Dio, che l’anima in effetti l’abbiamo e, nei casi più gravi, anche il cervello, che andiamo onorate nel nome della Madonna e accolte nel regno dei Cieli, non perde occasione per dimostrare la sua totale (forse inconscia, ma non per questo meno insopportabile) assenza di riguardi nei confronti delle femmine della specie.

L’atteggiamento del Vaticano versus Maria Sung maritata Milingo è, a dir poco, crudele: nasconde suo marito, gli impone di sottoscrivere la frase “nel nome di Gesù ritorno nella chiesa cattolica”, si disinteressa dei sentimenti della ripudiata.

Maria Sung, caro Santopadre e Padresanto, pur essendo donna, il che costituisce, da Eva in poi, una discreta aggravante, è pur sempre un essere umano. Nessuno si è chiesto, nelle sontuose stanze del Vaticano, che cosa prova in questo momento? Fosse anche una povera pazza resta il fatto che si era appena sposata, aveva scelto un compagno, aveva stretto un legame, ci contava. Metti che fosse innamorata.

Succede anche alle settarie della “luna” (moon); metti che sia davvero incinta, non vorrà mica farla abortire perché ha sottratto alla Chiesa lo sperma di un vescovo, proprio lei, Sua Santità, che negò l’interruzione di gravidanza perfino alle vittime dello stupro etnico? Certo che no! D’accordo: allora parliamo di quell’eventuale bambino, a cui viene negato il padre perché deve eseguire il rito del “ritorno nella Chiesa cattolica”.

Dovè è finito il presepe, papà mamma piccino, con cui bollate gli umani fallibili divorziandi o separati da secoli? E l’indissolubilità del legame? Non c’è più, perché i due si sono sposati a modo loro? Ma lo vede allora, Santo Padre, che voi sovrapponete le regole alle persone? Voi non amate, davvero, l’umanità: Voi la ordinate secondo un corpus di norme, un codice dei codici morali e li amate in base al loro tasso di adeguamento allo schema. La compassione è una forma di amore più grandioso, più generoso, meno presuntuoso.

Un padre santo e compassionevole, non avrebbe sopportato le lacrime di quella povera donna, per settaria e fanatica che fosse, le avrebbe personalmente asciugate con un lembo della sublime veste e poi l’avrebbe invitata nelle segrete stanze del castello papale, sala udienze e suppliche, e avrebbe discusso con lei, anche con lei, anche se è una donna, della strana situazione in cui il vescovo suo marito si è andato a cacciare.

Forse l’avrebbe convinta a ritirarsi e sposare un bravo barbiere, un dentista, un marinaio, un ginecologo (così si eviterebbe l’umorismo involontario di frasi come “E’ monsignor Milingo che conosce la data delle mie mestruazioni”). Forse sarebbe stata lei a convincere loro, il vescovo e il pontefice, delle ragioni dell’amore. E allora: uno si sarebbe “spretato” da solo, e l’altro avrebbe dovuto rinunciare ad ogni pretesa pretesca.

Forse le cose sarebbero andate come sono andate, male, fra intrighi e lettere ingessate.Ma almeno noi, tutte, non avremmo dovuto assistere, ancora una volta, a quel brutto spettacolo: una donna che si dispera. Fra i lazzi dei convenuti a guardare. Sola. Chiusa fuori dal Tempio” (L’Unità, 17 agosto 2001).

Il loro amore ha prevalso sui giochi di curia e i coniugi Milingo - Sung sono di nuovo insieme. Ora Milingo, questo vescovo esuberante, mai dimentico della sua Africa (dove molti sono i preti celibi padri di numerosa prole), ha abbracciato la causa dei preti che sono stati estromessi a causa del loro matrimonio.

Si può discutere, concordare o dissentire dalla decisione di Milingo di ordinare vescovi quattro preti sposati, ma la sua scelta va letta e forse può essere compresa all’interno di un itinerario ben documentato.

Da anni le associazioni dei preti sposati chiedono al Vaticano di riesaminare la legge del celibato obbligatorio per i preti. Riconoscendo nel celibato un dono di Dio, si propone di riprendere la tradizione del primo millennio nel quale esso costituiva una scelta facoltativa. In sostanza si tratta, nella chiesa cattolica occidentale, di superare la presunta incompatibilità tra ministero e matrimonio.

Il vaticano, nonostante le pressioni ricevuta da numerosi cardinali e vescovi, continua a chiudere le porte con un diniego privo di convincenti motivazioni bibliche, teologiche e pastorali. Così una tradizione del secondo millennio è diventata intangibile.

Tutti conosciamo i guai che derivano da questa legge ecclesiastica assurda, disumana, oppressiva. Monsignor Milingo e Maria Sung hanno deciso di rompere gli indugi e di farsi carico della buona causa di questi preti e di questi amori con una vera e propria “forzatura”.

La scomunica è un altro passo falso del Vaticano (che si sta specializzando in colpi di testa piuttosto autolesivi) e ribadisce pubblicamente un ostinato rifiuto del dialogo.

In realtà, sotto sotto, il Vaticano sta facendo ponti d’oro a Milingo perché migliaia di preti e centinaia di vescovi sono d’accordo con lui. E’ in atto (per chi come me ha informazioni precise) una trattativa serrata anche perché in Africa, dove Milingo e Maria Sung intendono ritornare, il celibato obbligatorio è una leggenda e altrove molto spesso è una ipocrisia o un tormento, proprio perché non è scelto, ma imposto.

Non credo che i problemi della testimonianza cristiana si risolvano d’incanto abolendo il celibato obbligatorio dei preti, ma ogni volta che si rompe uno degli anelli della “disumanità” ecclesiastica, si compie, a mio avviso, un passo di avvicinamento al vangelo di Gesù di Nazareth.

Nella mia chiesa sento spesso mancare quell’umanità senza la quale tutti i più alati discorsi teologici diventano evasivi e ambigui, destituiti di ogni credibilità. E’ pur vero che alla enorme crisi numerica del clero si sopperisce con migliaia di preti stranieri e con una accoglienza priva di selezione, ma i problemi dilazionati nel tempo possono ulteriormente aggravarsi.

Con grande coraggio il cardinale Poletto, arcivescovo di Torino, in un contesto in cui molti soggetti cercano nella veste talare una scorciatoia per risolvere i loro problemi psicologici e di inserimento nella società, ha gettato l’allarme: “Dobbiamo proprio pensare che il seminario diventi una clinica?” (La Repubblica, 29 settembre 2006, pag. 37).

Molti fattori possono sollecitare un ripensamento anche perché ministri amorosamente realizzati probabilmente costituirebbero un primo passo verso l’ordinazione delle donne. Che sia questa “previsione” a terrorizzare e a paralizzare le gerarchie vaticane?

Intanto attorno all’iniziativa di Monsignor Milingo e dei nuovi quattro vescovi, validamente ordinati secondo la dottrina cattolica ufficiale, molte associazioni di preti sposati si stanno mobilitando. Il dialogo si sta surriscaldando. Il che può essere un gran bene, in questo lungo e gelido inverno della chiesa cattolica.

domenica 1 ottobre 2006

Non se ne può più

Ci sono, in verità, tantissime realtà e situazioni in cui siamo giunti a livelli di degrado e di violenza che fino a pochi anni fa credevamo impossibili. Alludo specialmente alle violenze contro le donne e gli omosessuali.

Tutto questo richiede una mobilitazione delle nostre coscienze e anche interventi adeguati della magistratura. Noi maschi, in particolare, non possiamo evitare di guardarci dentro, di “convertire” i nostri atteggiamenti e comportamenti aggressivi e di combattere la cultura patriarcale che sta alla radice di queste violenze.

Ma io in questi giorni ho molto riflettuto sulla vicenda della bimba bielorussa e sui militari uccisi in Afganistan.

A mio avviso, non se ne può più del buonismo che ha unito i coniugi Giusto, il parroco, le suore, quasi un intero paese... Prendersi cura di una persona non significa possederla, crederci gli unici “salvatori”, gli unici capaci di provvedere al suo bene.

Nessuno nega il valore dell’accoglienza, ma ci sono modi legali ed efficaci meno spettacolari di difendere la vita e di provvedere ad un futuro diverso di una minore che ha subito violenza. I giudici e molte associazioni lo hanno capito.

Il buonismo strappalacrime è sovente un inconsapevole stratagemma per sentirci tanto buoni, ma ha il fiato corto e costituisce una semplificazione, una scorciatoia, anche se si agisce con le migliori intenzioni.

Ma in questi giorni, a mio avviso, è parsa ideologica e deviante la retorica patriottica e militarista che si è ripetuta alla morte dei due militari uccisi in Afghanistan. Il dolore dei parenti e la morte di questi due giovani sono realtà che toccano ciascuno di noi in profondità ed esigono rispetto, anzi molto più del rispetto.

Si sa, i vescovi in questi momenti diventano “attori nazionali” e la liturgia viene curata e trasformata in uno spettacolo insieme sacro, patriottico e militaresco. I tre aggettivi quasi si identificano, si intrecciano, si sovrappongono, si compenetrano.

Le messe militari e patriottiche, dove si gioca sulle emozioni di amici e parenti, dove le parole perdono ogni riferimento alla cruda realtà di una guerra di invasione per esaltare una inesistente missione di pace, sono vere e proprie bestemmie.

Di questo patriottismo militare e di questo militarismo patriottico non e ne può più.

E’ tempo di ripensare quale distanza esista tra l’amore e il buonismo e quale manipolazione si nasconda dietro queste liturgie strappalacrime laiche e religiose.

La “missione” in Afghanistan esige un ripensamento. Nata male, è proseguita peggio e l’ombrello dell’ONU non è qualcosa di eterno o infallibile. Le armi hanno dimostrato di essere una via che fa crescere la violenza. Ci vuole il coraggio di riesaminare e cambiare.